La peste del Trecento : quadro storico di una crisi
I
Un testimone d'eccezione : Giovanni Boccaccio
Giovanni Boccaccio dipinto da Andrea del Castagno, particolare del Ciclo degli uomini e donne illustri, affresco, 1450, Galleria degli Uffizi, Firenze |
"Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto , quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata.E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno..."
Giovanni Boccaccio, Decamerone, introduzione
Quella di Boccaccio è la peste del 1348.
Egli la descrive nel celebre Decamerone, composto tra il 1348 e il 1353.Come
sappiamo, protagonista della storia narrata è un gruppo di giovani
(sette ragazze e tre ragazzi) che, durante l'epidemia,
incontratisi nella chiesa
di Santa Maria Novella,
decidono di rifugiarsi sulle colline presso Firenze per trascorrervi due
settimane in passatempi vari, in
particolare raccontandosi a turno novelle.
Di questa epidemia Boccaccio fu testimone. Nell' Introduzione al Decamerone, il grande poeta afferma di ignorare le motivazioni per le quali questa pestilenza arrivò in Occidente: forse per l’influsso maligno dei corpi celesti
o forse per castigo divino .
Certo fu che la peste arrivò e non guardò in faccia a nessuno. Dotti e medici brancolavano nel buio perché niente sembrava efficace per contrastarla. .Era un morbo particolarmente contagioso che colpiva coloro che entravano in contatto con i malati o ne toccavano gli oggetti. Fu una epidemia terribile , che si diffondeva da uomo a uomo e dagli uomini agli animali. Il Certaldese ricorda ad esempio il contagio di due maiali venuti a contatto con le vesti infette di un malcapitato.
Erano tempi bui, in cui tutti vivevano nell'incertezza. Quello che era certo, annota il Boccaccio, è che la peste giunse dall'Oriente in Occidente e si manifestò secondo "un orrido cominciamento". Il primo sintomo del virus consisteva nella comparsa di rigonfiamenti all’inguine o sotto le dita dei piedi. Alcuni crescevano simili "a una comune mela", scriveva il poeta, altri "somigliavano a un uovo" ed erano volgarmente detti gavòccioli. Questi bubboni, in breve tempo, si espandevano in ogni parte del corpo e successivamente mutavano in macchie nere, presagio di futura morte. Tutti i contagiati morivano in breve tempo. C'era chi fuggiva dalle città e dai malati, scansando l’altro e quasi nessuno aveva cura del vicino. Erano rare le volte in cui i parenti si facevano visita e se lo facevano rimanevano distanti.
C'era chi per scansare il morbo viveva di rinunce e chi, al contrario, per scongiurarlo si dava ai bagordi. Vi erano poi i cittadini che vivevano moderatamente. Andavano in giro portando in mano erbe o
spezie che annusavano frequentemente essendo convinti che gli effluvi
giovassero al cervello perché sembrava che l’aria fosse carica
della puzza dei morti, degli infermi e delle medicine.
"Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine tiravano assai crudele, ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno medesimo salute acquistare."
Si aveva così tanta paura che i fratelli si
abbandonavano così come lo zio e il nipote e spesso la moglie il marito e...cosa ancora più grave e quasi
impossibile a credersi, i padri e le madri abbandonavano i figli come
se non fossero loro.
Vediamo quindi , partendo dal racconto del nostro illustre testimone le caratteristiche, le cause e il periodo storico in cui questo triste fenomeno si sviluppò in Europa.
II
Pillole di medicina medievale
Nel corso
della storia sono state molte le epidemie che hanno vessato
l'umanità.
Di malattie devastanti se ne parla persino nella
Bibbia a proposito di uno strano virus di natura sessuale trasmesso
dalle prostitute moabite agli istraeliti . Ognuna delle epidemie che
si sono avvicendate nel corso della storia aveva cause e
caratteristiche diverse...e potevano essere così tanto devastanti da
essere ricordate con dolore e terrore da grandi eruditi del passato
come Lucrezio ( nel De rerum natura) o Virgilio
( nelle Georgiche ) .
Dalle
primissime epidemie scaturite a contatto dei popoli dell'odierna
Asia settentrionale tramite viaggi e conquiste ,
arriviamo ai virus del mondo antico citando la peste di
Atene ( tra il 430 ed il 427 a.C. con circa 15-20.000 morti )
lungamente raccontata da Procopio nel De bello persico
(II, 22) , e poi , per citarne ancora alcune, il vaiolo che giunse a
Roma con le truppe di ritorno dalla Siria, la peste che gravò
sull'Occidente romano nel 165 d.C e anni dopo nel 262 d.C.
Costantinopoli, invece, dovette far i conti con la sua forma
bubbonica nel 542 , durante l'epopea di Giustiniano.
Dal II al IV
secolo fame, pestilenze e guerre sconvolsero tutta l’Italia. Non
c'erano molti medici e ci si curava con ciò che funzionava , chiudendo le porte alla
sperimentazione, aprendole nel contempo alla magia
e agli amuleti poichè si riteneva la medicina
fortemente legata al soprannaturale. Cuore di lepre (per la
febbre quartana), tre violette ( per prevenire le malattie) e una
infinità di frasi magiche erano le cure dell'epoca.
Al
di là delle epidemie, ricordiamo che la vita dell'uomo medievale era
a prescindere molto rischiosa: si poteva morire alla nascita, durante
l'infanzia o la pubertà. Un bambino che arrivava ai sei anni
poteva ritenersi fortunato. Data la mortalità infantile così
elevata, a trentacinque anni si era già considerati vecchi.
Durante questo periodo in cui i malefici si alternavano ai
miracoli, in cui si credeva che l'epidemia fosse un castigo di Dio e
in cui ogni Santo era invocato per una specifica malattia (
sant'Antonio per il fuoco sacro o sant'Andrea per gli
spasmi) , le diagnosi, le prognosi e la preparazione di amuleti e
pozioni erano rigorosamente preparate in giorni specifici.
Fu
infatti la Chiesa, evolvendo se stessa a modificare le cose,
offrendo assistenza ai bisognosi.
Infatti la gente in cerca di aiuto, si recava presso le chiese, i chiostri e, ancor meglio, i monasteri. Qui, nel tempo, trovò sede la medicina letteraria , le liste delle erbe mediche e gli ospedali. Con i monasteri come quelli di Chartres, Cluny, San Gallo, o Aberdeen , si formarono centri di studio medico in tutta Europa che comprendevano anche la copiatura da parte degli amanuensi di codici e testi antichi. Tale rinascita della medicina medievale, contrapponendosi a quella popolare, ebbe centro a Montecassino e a Roma ma anche a Farfa (Rieti) dove fu fondato un hospitale e a Fossanova ( Latina ) in cui l’attività medica principale consisteva nella cura dei malarici delle vicine paludi. Vi era dunque una secolare tradizione medica, ereditata poi dai cistercensi ispirati non soltanto alla Regola di San Benedetto ma anche da quanto veniva deciso dai Concili, dai Papi e dalle autorità laiche. In generale, per combattere le malattie, i monaci raccomandavano l'utilizzo di piante medicamentose definite semplici. Parliamo ad esempio di salvia, aneto, timo, rosmarino e lavanda, utili per combattere e prevenire le epidemie o, almeno, il fetore insopportabile che esse causavano.
III
A peste, fame et bello, libera nos, Domine :
crisi e pestilenza del XIV secolo
Gli storici sono tutti
concordi nel ritenere il Trecento un secolo di crisi.
Ma cosa
intendiamo per crisi?
Questa parola non significa infatti sempre la
stessa cosa.
Crisi più attuali come quella del 1929 o del 2008
nascono con il crollo in borsa o con la speculazione finanziaria ma
la crisi del Trecento comportò altro. Comportò la fine di quel
lungo periodo di lenta crescita verificatosi dopo il Mille in
ambito agricolo, demografico, lavorativo ed economico.
Fino al XIV secolo, con l'aumento dei campi coltivabili a scapito delle aree boschive, crebbe la possibilità di sfamare più gente. I raccolti andavano in
generale bene e, se quell'anno era un po' più sfortunato e non rendeva
come gli altri , l'autorità pubblica interveniva importando il
grano da altre zone o paesi.
All'inizio del Trecento, qualcosa cambia. Con la maggior frequenza di cattivi raccolti, il grano iniziò a
scarseggiare pesantemente. Di conseguenza, il pane costò di più e le
famiglie, specie quelle degli operai e dei salariati ( il cui onorario non era cambiato) , non riuscivano più a sfamare la loro prole numerosa. La mancanza di una alimentazione
sana , provocò danni importanti. Se non morivano di fame o malanni, i bambini crescevano rachitici. In generale, le malattie e la povertà aumentarono.
Gli anni 1315 -1317 furono i più
disastrosi: per tre anni di seguito i raccolti non diedero i frutti sperati in molte
parti del globo. In altri tempi, come abbiamo detto, se i raccolti non erano buoni, si
poteva acquistare il grano da altre zone, come la Russia o la Turchia. In quei tre anni invece la situazione peggiorò ovunque e anche importare cibo da fuori
divenne molto più difficile.
In sostanza l'Europa non riusciva a dar da mangiare a tutti. E da qui sorsero i problemi.
Le cause di questa crisi
posso essere rintracciate nei mutamenti climatici ( piogge
torrenziali, clima più rigido del normale) dovuti anche al
disboscamento degli anni precedenti. Questa dinamica, molto invasiva
a vantaggio dell'agricoltura, era stata prevista nella sua potenziale pericolosità già da alcune
autorità del Duecento che, preoccupate, vararono leggi per proteggere i boschi.Nonostante tutto, dopo quei tre anni terribili, al di là della forte carestia e delle
piogge torrenziali che rovinavano i raccolti, provocando la morte di
tanta gente, l'Europa continuò arrancando fino al 1347.
Il Facciatone del Duomo di Siena |
E su questo la storia ci da ragione. Le città continuano a
vivere anche se con difficoltà. Prendiamo Siena ad esempio.
Sintomatica è l'interruzione dell'ampliamento del Duomo voluta nel
1339: l'intenzione era quella di trasformare il Duomo "vecchio"
( quello odierno ) nel transetto della
nuova Cattedrale ( mai costruita se non in alcune sue parti) con il quale avrebbe dovuto intersecarvisi a croce. Per intenderci meglio , i lavori nel cantiere senese andarono avanti arrancando nonostante la peste del 1348, riuscendo a resistere fino al 1357, anno in cui furono annullati per mancanza di personale: Siena si era quasi del tutto svuotata a causa della pestilenza. Del progetto originale, si realizzarono solo la navata
destra ( che oggi ospita in parte il Museo
dell'Opera del Duomo)
e
la facciata (popolarmente detta Facciatone
) di quel Duomo "nuovo" mai costruito per intero .
Elmo a bacinetto, tipico del periodo della Guerra dei Cent'anni |
Prima di arrivare alla peste, scaturita come vedremo anche da fame e malnutrizione, precisiamo infine che la gravità della crisi del Trecento è anche da attribuirsi alle guerre. Nel Medioevo si conviveva con la guerra ed essa non era una novità per i contemporanei.
Per i signori era il modo più logico di risolvere le controversie.
Ma attenzione!
Fino al Trecento la guerra fu su piccola scala , circoscritta nello spazio e nel tempo e combattuta da pochi uomini. Nel Trecento , a livello europeo, assistiamo alla Guerra dei Cent'anni, un progetto ambizioso , costoso per tempo e denaro, ordito dalla ricca Inghilterra ai danni del regno di Francia. E qui, la devastazione e la morte, eccezion fatta per qualche periodo di tregua, si attuarono su scala maggiore. Guerra che i sovrani combattevano fin quando potevano, fin quando avevano soldi, fin quando riuscivano a pagare i soldati e i mercenari che, in mancanza di tributo , nei periodi in cui il re non può pagarli, invece di far tregua, continuavano la battaglia da soli, devastando le campagne di Francia, saccheggiandole.
Arcieri con l’arco lungo inglese (arco lungo) Formazione degli arcieri gallesi Salmo 79, pratica tiro con l’arco |
La situazione trecentesca italiana era un pò diversa ma ugualmente pressante. Nel Trecento , a Milano, governavano i Visconti contro i quali tutti gli altri signori d' Italia si rivoltarono. Vi era la diffusa paura che i signori di Milano ambissero al governo d'Italia a scapito di tutti gli altri nobili dello stivale. E così Venezia, Firenze, il Papato dichiareranno loro guerra forti dei proventi ricevuti dalla riscossione delle tasse salatissime nelle loro terre. Alle lotte politiche si aggiungono le rivendicazioni contadine ( i ciompi) e le diatribe di natura temporale: Bonifacio VIII contro Filippo il Bello, i settant'anni di cattività Avignonese e, dopo quelli la diatriba tra i due Papi , l'uno ad Avignone e l'altro a Roma , le scomuniche reciproche e i rispettivi schieramenti di guerra. Per concludere questo breve quadro storico e passare alla peste, riflettiamo insieme sulla particolarità della crisi del XIV secolo . Essa sta nel completo differenziarsi dalle moderne in cui per molti il tenore di vita peggiora, con la riduzione delle energie e degli investimenti . Nel Trecento questa dinamica non si segnala. Anzi, nel nei periodi di stasi , al di là della fame, della peste, della guerra e delle carestie, il tenore di vita continuò a crescere, con le invenzioni, con i grandi cantieri, dimostrando una società dalla vitalità senza pari.
Trionfo
della Morte ,
dettaglio dell'affresco eseguito da Giacomo
Borlone de Buschis
sulla
facciata dell' Oratorio dei disciplini di Clusone, XV
secolo, affresco, Val Seriana, Bergamo (Lombardia) |
Completato il quadro di quest'epoca, torniamo alla peste.
Come dicevamo, dal 1348 essa flagella l' Europa e, successivamente,l'Occidente cristiano.
Ma cos'è la peste?
Tale termine indicava in generale le malattie contagiose. Lo utilizzarono prima Galeno (I sec.) e poi Alberto Magno (XIII secolo) che descrisse il morbus pestilentialis come il male che veniva dall’ aria. Il termine peste deriva dal latino peius, "peggio" poiché è la peggior malattia. Tal parola, era usata dai traduttori latini della Bibbia e delle opere greche per dentificare un'unica malattia dai quadri clinici omogenei . La gravità della peste1, sin dai tempi di Lucrezio ( De rerum naturae VI, 1090-1286 ) fu descritta con diversi epiteti sia in latino ( pestilitas, mortifer aestus, clades nova, morbus ) che in greco da Tucidide. Tale morbo sfociava in una epidemia ( dal greco epì dèmon cioè ciò che sta sopra il popolo, che lo comprende tutto) e chi veniva contagiato era un ab pistatus (appestato) poichè aveva la peste dentro .Questo morbo aveva un decorso atroce: proprio come narrava Giovanni Boccaccio, si manifestava con gonfiori all'inguine e sotto l'ascella. Dai rigonfiamenti purulenti e mefitici, fiottava sangue , lasciando sulla pelle del malcapitato orribili macchie. Le vittime sputavano sangue e in tre - quattro giorni morivano. Nella forma bubbonica, i primi sintomi erano vomito, cefalea, nausea, dolore articolare e malessere. Poi giungevano brividi e febbre altissima ( 38,5°- 40,5°) con aumento del battito cardiaco. Nei casi più fortunati la febbre scendeva in cinque giorni e si guariva nel giro di due settimane. Per la polmonare la morte sopraggiungeva dopo due - tre giorni dalla prima comparsa dei sintomi. Per la setticemica si moriva nello stesso giorno in cui i sintomi si presentavano.
Il canonico della cattedrale di San Virgilio di Trento, Giovanni
da Parma (1348-1377) raccontava che la peste giunse nel suo paese il 2 giugno
1348 e che di sei persone ne morivano certamente cinque ed
in città i cristiani si evitavano a vicenda come la lepre
rifugge il leone o l’uomo sano il lebbroso.
Non sappiamo se la peste del Trecento fu la stessa che colpì Atene o Bisanzio nei tempi remoti, quello che è certo è che tal virus era sconosciuto ai contemporanei che lo percepirono come un flagello senza pari e che, in virtù delle antiche memorie, lo chiamarono peste.
Questo morbo arrivò dall'Asia, tramite i commerci dei mercanti
che fino a quel momento continuarono a far soldi, a intrattenere
rapporti commerciali e traffici economici. Ed è proprio da una nave
ormeggiata a Messina nel 1347 che approdò il primo contagiato.
Danza macabra, dettaglio dell'affresco eseguito da Giacomo Borlone de Buschis sulla facciata dell' Oratorio dei disciplini di Clusone, XV secolo, affresco, Val Seriana, Bergamo (Lombardia) |
Dalle stime dell'epoca un terzo della popolazione Europea ne morì. Complici del virus furono sicuramente una serie di importanti concause al pari scatenanti per
tutte le epidemie e cioè malnutrizione3 ,
denutrizione , miseria e pessime condizioni igieniche. All'epoca,in
generale,l’80% della popolazione europea soffriva da una forma più
o meno grave di avitaminosi. La mancanza di cibi freschi era causa di
polinevriti, tracomi, glaucomi, poliomelite e di frequente rachitismo
infantile diffuso, che se non mortale, riempiva di storpi le strade,
le scalinate, l'interno delle cattedrali. Inoltre la tossicità negli
alimenti era una delle principali cause di malattia poichè comprometteva i
meccanismi di difesa ed il metabolismo.
Questa epidemia pian piano, negli anni successivi, arrivò in Inghilterra così come in
Scandinavia. Quando sembrava finire in un luogo , la comunità del posto ricominciava a vivere, ripartendo, ricrescendo , riattivando economia e profitti. Si
volta le spalle al periodo nero per tornare a vivere , dimenticandosi
della pestilenza che tragicamente, anni dopo, ricompare. Infatti, nel 1361 si segnala una seconda ondata virale . Questa, in particolar modo colpì i bambini .In generale, nel Medioevo, si susseguirono ben 34 pestilenze dall' XI al XV secolo . Nel particolare, dal 1348 in poi, ad ondate cicliche ogni dieci – quindici anni , fino al XV
secolo, la peste ricompariva ma non con la potenza virale delle prime
due ondate ( eccezion fatta per quella altrettanto violenta del
1399). Queste ondate endemiche impedirono alla popolazione
di crescere . La popolazione europea era la metà
rispetto a quella di un secolo prima. Popolazione che tra una ondata
e l'altra non si arrese , continuando a vivere e a lavorare,
ponendo le basi per il successivo Rinascimento.
Lo zenzero ( in foto ) mischiato a cannella, chiodi di garofano e pepe nel vino , era utilizzato come disinfettante per mani e bocca |
Abbiamo più volte ribadito che nei confronti della peste non c'erano rimedi efficaci. Medici e dotti brancolavano nel buio e , nella speranza di prevenire e combattere tal morbo, si utilizzavano gli intrugli più strani a base di parti d'animali, erbe e minerali (uno
fra i più noti era l'olio di scorpioni). Intorno al 1370 i medici
scoprirono un rimedio che si diceva esser utile per scongiurare non solo la peste ma
anche altre malattie:stiamo parlando dell' acqua della regina d’Ungheria, la cui
esatta composizione non ci è mai giunta .
Frequente
era anche l'inalazione di costose sostanze aromatiche contenute in un
globo profumato3. In generale, per fronteggiare
la pestilenza in atto , i dottori predicavano la prevenzione,
raccomandando alle donne di cospargere i
pavimenti di casa con piante aromatiche
e di lavarli con
acqua, aceto e petali di rose di macchia.
In generale raccomandavano inoltre di pulirle con acqua profumata
e di bruciarvi
rosmarino e bacche di ginepro.
Coloro che vivevano o lavoravano a contatto con gli appestati avevano
l'obbligo di disinfettarsi
la bocca e le mani con vino aromatizzato al pepe, cannella, zenzero
e chiodi di garofano.
Altri rimedi
furono: controlli sugli uomini e sulle merci, fumigazioni,
quarantena delle merci, chiusura delle case infette , salassi,
incisione dei bubboni, fumigazioni e poi lasciti, processioni,culti
di immagini, ex voto ai santi guaritori. Tra questi, ricordiamo
san Rocco e poi san Sebastiano. Quest'ultimo fu il
principale santo protettore invocato contro la peste . Martirizzato
con il supplizio delle frecce , sopravvisse miracolosamente. Come
Sebastiano , anche san Cristoforo fu torturato alla stessa
maniera. C'è una relazione tra le frecce e la peste: non solo se
pensiamo all'arciere dio Apollo, che con le sue frecce la diffondeva
ma nello specifico, le ferite causate dalle frecce sono paragonate ai
bubboni della peste.Infine Sant'Antonio abate, eremita del deserto, che visse nel 340 d.C circa , sotto Costantino. La sua
vita viene raccontata da Anastasio ed è spesso raffigurato con un
cinghiale. Non è
chiaro il rapporto tra sant'Antonio abate e la peste, ma anche lui
venne invocato, forse in virtù delle numerose rinunce e privazioni
e della ben nota santità della sua vita.
La lugubre processione dei flagellanti tratta dal film Il settimo sigillo , regia Ingmar Bergman, 1957 |
L'effetto
delle pestilenze fu devastante. La popolazione calò dal 10% al 60%
(con conseguente crollo della natalità). Proprio come raccontavano Boccaccio o il canonico Giovanni da Parma, la gente, in preda al
panico per la forte crisi, vedendo intere
famiglie distrutte, fuggiva dalle città. La diffusione
del contagio costrinse le autorità cittadine ad attivare il
lazzaretto e a creare figure nuove come i monatti che
si guadagnano il triste prestigio di sciacalli senza alcun rispetto
per la vita e la sofferenza umana. Sembrava che Dio avesse
abbandonato l'umanità a se stessa. Dio voleva punire i suoi figli per le iniquità commesse. Spinti dalla colpa, nel Trecento nacquero i flagellanti , fenomeno religioso di violenta natura che ben presto dall'Italia dilagò in Germania e in Francia. Essi percorrevano le strade frustandosi a sangue , in un corteo grottescamente veemente e cruento, invocando
la Grazia di Dio al fine di scongiurare la pestilenza.
Oltre a questo fenomeno autolesionistico, la gente, disperata, si diede alla cieca ricerca dei possibili responsabili dell'epidemia, gli untori. Essendo tal morbo punizione divina, in assenza di Dio , per i contemporanei fu logico pensare allo zampino del Diavolo . E il Diavolo andava
stanato. Si scatenò una vera e propria caccia all'untore sostenuta dalle autorità che seguivano le varie piste suggerite dalle molteplici denunce anonime a danni di terzi vittime di successive torture e brutali esecuzioni pubbliche.
Ma chi erano i colpevoli
dell'epidemia secondo l'opinione pubblica?
Zingari, lebbrosi ma soprattutto gli ebrei e le streghe.
Il popolo
ebraico, purtroppo, è stato più volte perseguitato nella
storia. Nello specifico, l’emigrazione degli ebrei tedeschi,
iniziata durante le prime Crociate , dopo le stragi delle valli del
Reno e della Mosella, si volse da principio verso l’Europa
Orientale.
Anche dopo le Crociate, la situazione non migliorò . Ad esempio, in Germania , gli ebrei , accusati in tempo di pestilenza di aver diffuso il morbo avvelenando pozzi e i corsi d'acqua,
furono ovunque perseguitati e sterminati. Invano papa Clemente VI
cercò di opporsi alla diceria sia nel luglio che nell'ottobre del
1348, facendo notare che di peste perivano in egual maniera ebrei e
cristiani. Il suo appello non servì perché in molte città tedesche, tra il 1348 e il 1349 una moltitudine di ebrei fu sistematicamente massacrata, passata a fil di spada e bruciata sul
rogo. Soltanto in pochi riuscirono a scappare e una parte cercò
asilo in Italia, dove il contagio aveva fatto altrettante vittime che
nel resto d'Europa, ma dove il naturale equilibrio della popolazione
e l’intervento della Chiesa avevano risparmiato agli ebrei
l’obbrobrio e il castigo di esserne considerati la causa.
Tortura e rogo di streghe, miniatura del XIV secolo |
E ora passiamo alle streghe.
Ove la
donna si attenti a guarire gli infermi senza avere studiato, è
strega e va condannata a morte. Infatti solo i monaci potevano curare ed operare guarigioni.
La caccia alle streghe comportava l’identificazione di individui accusati di attività segrete e occulte. Quindi si dava la caccia ai colpevoli così come oggi la si darebbe ai membri di un movimento clandestino o di un’organizzazione segreta. Tale compito veniva svolto da vari soggetti, di solito dalle autorità giudiziarie ma a volte anche da cacciatori di streghe di professione. Come dicevamo, sulla base delle accuse, delle denunce o anche di semplici voci, essi procedevano all’ arresto delle persone segnalate. Gli accusati potevano essere uomini, donne, bambini o anche animali reputati colpevoli di maleficia . Nella maggioranza, quando si parla di streghe, ci si riferisce però alle donne e alle curatrici : insomma a coloro alle quali non era concessa alcuna pratica medica in quanto ritenuta guidata da Satana in grado di renderle capaci di sortilegi demoniaci. L’arte medica è il luogo di scontro per eccellenza tra i saperi femminili e quelli maschili : l'abilità femminile, se non circoscritta nel convento o nel monastero , viene temuta nel quotidiano proprio perché fuori dal controllo maschile e perché molto più presente e importante rispetto a quella dei dotti prelati. Infatti , solo il convento dava alle donne la giusta protezione in quanto , essendo consacrate al Signore, le sollevava dall’ accusa di collusione col Demonio. Accusa a cui non sfuggivano le streghe, donne pericolose perché fuori dal controllo canonico, donne che sanno ma non possiedono la protezione del maschio, sia esso un nobile oppure Dio. Donne che hanno un rapporto individuale e diretto con le arti magiche.Donne accusate di sacrilegio e di malefici.Le accusate , una volta arrestate, veniva interrogate e con qualsiasi mezzo indotte a confessare. Ma confessare cosa?
In questo caso specifico di aver provocato la peste ( o in generale il maleficium di turno) con le loro arti magiche, con le erbe , con i medicamenti della natura che loro utilizzavano non in modo dotto e avveduto come i monaci, ma guidate dalla mano del Demonio, praticando magie. In senso stretto, la magia è un potere che viene attivato e controllato individualmente e direttamente da chi lo pratica e per questo fa paura ai potenti . Nella pratica religiosa il monaco o il sacerdote non esercitano controllo sul potere al quale ricorrono: pregando, diventano il tramite di Dio. E' quindi è il Signore a muovere le loro azioni. Per le streghe, è diverso. La forza della magia è soprattutto il potere del mago o della strega che lo utilizza per produrre effetti pratici, subito riconoscibili nella realtà, quasi sempre in situazioni critiche, e di solito in segreto e individualmente. Al contrario, la religione ha carattere soprannaturale ( come il conseguimento della vita dopo la morte) ed è una forma di attività più comunitaria e più organizzata rispetto alla magia che a differenza della religione non fa ricorso all’arte della persuasione nel tentativo di realizzare i suoi scopi, e dal momento che tratta con esseri superiori, ha una maggiore capacità di incutere a chi la pratica un senso di timore reverenziale. Il mago e la strega facendo leva su questa abilità individuale riescono a dialogare con demoni, riescono a creare intrugli malefici, a diffondere virus come quello della pestilenza. E per l'opinione comune vanno stanate e annientate. Dal Duecento e in maniera sempre più invasiva nei secoli successivi, specie nel Rinascimento fino al Settecento, furono messe al rogo tantissime persone e anche animali accusati di aver stretto un patto con il Demonio. La triste storia dei roghi ai danni di donne accusate di aver stretto legami con Satana vedrà la sua fine solo nel Settecento. Era il 13 giugno del 1782 quando , nella civilissima Svizzera, Anna Göldi, l’ultima strega d'Europa , morì sul rogo. Aveva 48 anni e le cronache del tempo ci riferiscono la sua bellezza, nonostante il volto segnato da una vita difficile , dal periodo trascorso in carcere e dalle torture subite.E alla fine, come affermò Voltaire , le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle.
Battaglia di Poitiers (1356), Cronache di Froissart , XIV secolo |
Note:
1 Si tratta di una malattia infettiva provocata da un parassita della pulce dei ratti ( lo yersina pestis , dal nome dello scopritore svizzero A. Yersin, in seno agli studi sulla peste di Hong Kong nel 1894). Tale batterio infetta circa cento specie diverse di animali ( uomo compreso tramite ospiti intermedi) e ha una incubazione brevissima ( da uno a tre giorni) che provoca febbre altissima con tre tipi di manifestazioni cliniche. Se il contagio avviene per via cutanea, la peste sarà bubbonica. In tal caso si riscontrerà l'ingrossamento delle linfoghiandole e la formazione dei "bubboni" e dopo quindici giorni di ascessi. La mortalità è di circa il 50% e la trasmissione avviene per via indiretta ( da pulce a uomo ) .Diretto ( cioè da uomo a uomo) , anche se sempre a monte trasmesso dai topi, è lil contagio dei restanti due tipi di peste, quella polmonare e setticemica ( detta anche nera per le caratteristiche manifestazioni cutanee).
2 Nel Medioevo le carni, le verdure e la frutta di qualità più alta erano destinate,in gran parte, alla tavola dei ricchi che potevano contare anche su riserve di caccia . Pochissimi potevano permettersi la carne consumata sotto sale accontentandosi ( quando si poteva ) di maiale ( carne accessibile ai contadini che nutrivano con gli avanzi del signore) , di agnello o di pollo.Di rado si consumava carne bovina, perché i buoi erano preziose bestie da lavoro.I poveri mangiavano di base cereali e verdure come i porri. Per impastare la farina utilizzavano un siero di latte con sale oppure l'acqua piovana , dei fiumi o dei ruscelli . La farina serviva a rendere i loro cibi più appetibili. Nel Nord d'Italia si consumavano anche polenta , pane di frumento, minestre di legumi , piccoli pesci, formaggi e cipolle. Nei paesi ad Ovest si mangiava il riso .Per le pessime condizioni igieniche basti pensare che anche nei pranzi più sontuosi le stoviglie erano ridotte al minino: un piatto, un bicchiere, un cucchiaio. Un coltello, doveva bastare per i vari commensali, appoggiato al piatto di portata servendo solo per tagliare la propria porzione di carne. Le forchette non c'erano: si mangiava con le mani.I poveri mangiavano prevalentemente cereali, talvolta grano, più spesso segale e orzo che consumavano sotto forma di pane, zuppe o minestre e la farinata che era una specie di polenta. C'erano poi ortaggi e legumi: lattughe, rape, cipolle, zucche, cavoli. Si consumavano anche le uova e nel Trecento anche formaggi e latticini. Il burro veniva normalmente usato anche quando era irrancidito.
3 Non a caso avevano forma globurare perchè il globo simboleggiava la vita eterna, la potenza e la forza, inoltre secondo le credenze essi avevano avevano importanti qualità terapeutiche. Il corpo del recipiente era traforato per consentire al profumo delle erbe di esalare meglio le sue virtù ed era ornato di roselline concentriche.
Bibliografia
A. Barbero, Quando
l'economia cambia la storia. Tra recessione e Innovazione : la Crisi
del Trecento , Ciclo di tre
incontri presso il Grattacielo Intesa Sanpaolo, Torino 7 novembre
2019.
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