Mai una gioia: i contadini nel Medioevo

 


Palladio, scrittore del IV secolo, nell’Opus agricolturae, scriveva: “non può esserci un solo modo di organizzare il lavoro quando ci sono tanti tipi di terra”. L’autore si riferiva ai vari tipi di terreno, ai climi differenti e alla grandezza delle proprietà, cause della eterogeneità del trattamento delle colture e delle dinamiche agricole. Se il trattamento dei terreni dipendeva dai climi e dalle regioni d’Europa, la vita dei contadini, nel Medioevo era in generale molto dura. 

Gli effetti del Buon Governo: le strade che portano a Siena, Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, 1338 - 1339.


I problemi iniziavano dal vicinato. Con la fine del dominio romano in Occidente, nella tarda antichità, l’oligarchia urbana proprietaria di terre (i curiales) era stata la responsabile della riscossione delle tasse e trasferimento delle medesime allo Stato...non senza magagne. Come infatti raccontava Cesario di Arles, in Provenza agli inizi del VI secolo se […] lì accanto c’è un vicino povero, che si trova nella necessità di vendere o può essere costretto a vendere mediante vessazioni, in questo caso, egli [il vicino ricco] vi getta un occhio, spera di poter togliere al vicino povero il podere o la casa colonica, e gli suscita qualche fastidio: per esempio, tratta con quelli che detengono il potere, affinché gli esattori lo mettano negli impicci o affinché essi lo attirino in qualche rovinosa carica pubblica e ve lo tengano implicato” al fine che “quel disgraziato”, dati i molti debiti, sia alla fine costretto a svendere. Questa dinamica, ovvero l’interposizione dei possidenti più ricchi tra le popolazioni locali e lo stato, decretò la fine dei liberi agricoltori e dei piccoli proprietari terrieri. I loro pagamenti diventarono nel tempo obblighi consuetudinari, diventando subordinati dei grandi proprietari terrieri, forti anche delle contingenze storiche. Questa è solo una delle molteplici situazioni sgradevoli orbitanti attorno alla vita contadina la quale, salvo sfumature particolari, rimase durissima per tutto il Medioevo. Non possiamo immaginarne le difficoltà se non ci immedesimiamo nella quotidianità delle campagne. 

 

Il miracolo della pioggia e della grandine, 1462, cappella della Chiesa di San Giovanni Battista, Signa (Firenze)

Immaginiamo delle case, senza vetri, con serramenti approssimativi e spifferi abbondanti. Le finestre non permettevano il filtraggio della luce. Tenerle aperte comportava d’estate l’entrata sciami di insetti o il gelo tremendo in inverno. Quest’ultimo problema non era neanche risolto dalle tele incerate: permettevano lo stesso il filtraggio d’aria fredda e impedivano alla luce di entrare. Tutto a vantaggio delle malattie, peste compresa. Nelle case contadine medievali non c’era il camino. Se dal Trecento divenne status symbol della gente agiata, non fu mai appannaggio delle case dei più poveri. Durante l’Alto Medioevo, l’Europa non era molto popolosa. Immaginiamola coperta da un manto di foreste abitate da tanti animali (tra cui anche maiali allevati allo stato brado) della cui carne ci si nutriva aiutandosi anche con le risorse della pastorizia. Con la crescita demografica del Mille (arrestata poi dalla peste del Trecento) e il ricorso ad una agricoltura sempre più estensiva a scapito di selve e pascoli, ci si cibò di cereali, spesso minacciati dalle inondazioni, piogge e siccità. A questo proposito, si ricorreva ai miracoli per porvi rimedio: come quelli della Beata Giovanna da Signa, una pastorella fatta eremita, morta alla fine del Duecento. Questa santa era ritenuta capace di schermare pascoli e campi dalle intemperie con la sua sola presenza o invocazione.  
La scarsità di fieno spesso non bastava nutrire gli animali da pascolo, c’era una bassa resa del frumento e, quel poco che se ne ricavava veniva ceduto per la maggior parte alla decima destinata ai padroni.  Mangiavano carne, verdura, piselli, burro, latte, formaggio e frutta anche di bosco, per esempio lamponi. Si vestivano in modo semplice con abiti di lino grezzo filati in casa, resistenti al tempo e comodi per lavorare. 

L’assenza di cibo gravava sui contadini la cui condizione fu aggravata anche da politiche non inclini a riforme. Pochi sovrani andarono oltre le elemosine e la distribuzione del pane nei tempi difficili: una eccezione fu Carlo il Buono delle Fiandre che impose di far seminare oltre il grano anche fave e piselli in virtù della crescita più rapida e, proibendo la fabbricazione della cervogia, ne utilizzò l’avena per fare il pane in modo da sopperire anche ai bisogni dei più poveri. Era inoltre difficile conservare il cibo che si aveva: grano e vino erano spesso distrutti nei magazzini da topi, ratti ed insetti. Oltre a queste difficoltà vi si aggiungeva il lavoro impegnativo, fisico, massacrante. Con la zappa toccava al lavoratore aprire la terra precedendo i buoi. Questo nella più rosea situazione: se non poteva acquistarli o fittarli, il contadino era costretto alla trazione umana, caricandosi l’aratro a ruote, trainandolo al posto del bestiame mancante. Tra gli animali di cui si richiedeva l’aiuto, oltre i buoi, c’erano i cavalli ottimo esempio di forza motrice. Nel Medioevo, precisamente dal Mille, fu introdotto il collare di spalla. Rigido e imbottito, era fissato al petto e non più alla gola dell’animale per tirare meglio l’aratro o i carichi pesanti. Certo, nelle campagne troviamo le innovazioni come il mulino ad acqua, vantato anche da San Bernardo per il suo meccanismo. Fu inserito nelle campagne a partire dal XII secolo. Ma al di là di queste acquisizioni o aiuti, carri e carriole compresi, il lavoro nei campi rimaneva sempre massacrante. 

La vendemmia, affresco del castello del Buon consiglio a Trento, XV secolo.  


E poi c’erano i signori. 
Inseriti nell’entourage dei loro sovrani, i contadini vivevano in un contesto più ampio che richiedeva con insistenza certi quantitativi di prodotti coltivati, obblighi diretti ed indiretti e pagamenti elevati. I signori non erano solo laici ma anche religiosi.  
La Chiesa iniziò ad acquistare terre fin dal IV secolo subendo un incremento notevole in virtù delle donazioni dall’ VIII, tant’è che, nel IX secolo, ad esempio, un terzo delle terre coltivate in territorio carolingio era della Chiesa! A differenza delle terre dei signori laici, le proprietà ecclesiastiche godevano di una maggiore linearità amministrativa, divenendo determinanti nell’organizzazione del paesaggio e dei suoi abitanti. I rapporti Stato – Chiesa e dunque signori – contadini, costituiscono una dinamica complessa dalle diverse sfumature a seconda dei periodi e delle zone d’Europa oggetto d’indagine.  
In questa sede ne propongo solo uno, quello dell’amministrazione di San Pietro di Gand, comunità religiosa fondata tra il 629 e 639 nelle Fiandre settentrionali. Questo insediamento, ampliatosi nel corso del tempo con le terre poste lungo la Schelda e il Lys e nella zona boschiva a Nord e tra le paludi costiere al di là di quella, vide un potenziamento durante l’epoca carolingia in quanto l’abate ne sostituì direttamente i funzionari regi nell’amministrazione politica e giuridica. 

Eginardo, Grandes Chroniques de FranceXIV secolo

L’abate in questo caso fu il dotto Eginardo, biografo e leale cortigiano di Carlo Magno, attento amministratore dei possedimenti di Gand. Fu grazie al dotto scrittore se questa proprietà aumentò la sua estensione. Queste terre comprendevano una fattoria, un arativo, prati coltivati a fieno, un bosco dove pascolavano i maiali e una vigna. Vi erano anche pascoli nelle zone acquitrinose e saline della costa. Questo ultimo tratto era la parte indominicata, coltivata per profitto diretto del suo signore. Quello che di certo sappiamo sull’organizzazione di queste terre è che, all’inizio del IX secolo, erano suddivise in appezzamenti coltivati lavorati ciascuno da un lavoratore dipendente con obblighi specifici. La documentazione pervenutaci ne registra ventiquattro. Tra questi vi era Folcric: ogni anno doveva all’abbazia un certo quantitativo di pane, birra, legname, assi per il tetto, lino, maiali e grano. Inoltre, ogni tre anni, pagava un tributo al suo signore invece di lavorarne la terra indominicata, versando inoltre una volta sui due anni rimanenti ulteriori soldi per le spese militari dell’abbazia le quali, viste in una ottica molto più ampia, coprivano il costo dell’esercito franco. Non sappiamo se il nostro contadino fosse sposato con figli ma possiamo affermare che la sua giornata orbitasse nei campi, al lavoro. Presumendo l’esistenza di una moglie, questa doveva occuparsi della casa e del creare, con il lino raccolto dal marito, abiti e panni. In effetti, le valli del Lys e della Schelda erano l’ideale per la coltivazione del lino. Questo angolo delle Fiandre è un ottimo esempio di luogo dove economia agricola e pastorale s’intrecciano avendo alla base uno sfruttamento delle risorse naturali da parte dei signori.  

Sono infatti i signori a stabilire, con le loro ordinanze e i loro cambiamenti, le sorti delle terre di loro proprietà e, di conseguenza, di chi ci lavora. Intorno al 940 – 950, la medesima Gand andò incontro ad una serie di problematiche dovute non solo al recupero di terre perse precedentemente ma anche alla modifica dei territori conservati interessati da un rapido sviluppo. Venivano costruiti mulini e ampliati i campi da pascolo con disboscamenti e prosciugamenti effettuati tra X e XI secolo. In quest’ottica di cambiamento, i signori richiesero sempre più pagamenti in denaro che in lavoro. I contadini, inoltre, con l’introduzione di nuove tecnologie (mulino ad acqua) videro trasformarsi le loro mansioni e i loro obblighi verso i padroni. 


In generale, nelle campagne europee, inquadrate dalla signoria sia religiosa che laica, i contadini continuarono a guardare i loro signori come l’incarnazione più prossima del potere pubblico il quale aveva concesso a sua volta quelle terre da amministrare. Questo rapporto necessitò di una regolamentazione sempre più precisa in ambito rurale atta a definire diritti e doveri da entrambe le parti. Attraverso la documentazione di liti, processi e vari resoconti, si è potuto avere chiara la dinamica dei rapporti tra contadini e signori, per esempio alla fine del XII secolo attraverso testimonianze come la querela presentata nel 1185 dai canonici della Cattedrale di Asti ai consoli del comune per rivendicare la signoria su tutti gli abitanti di Quarto. Questo documento è interessante perché i questuanti non solo precisano che Quarto è una curtis, ovvero una azienda rurale di loro proprietà, ma elencano tutti gli obblighi ai quali dovevano rispondere i lavoratori sia dei mansi (terre in affitto) che degli allodi (terre di proprietà). Si richiedeva in nome del giuramento fatto e in virtù della giurisdizione esercitata che i sottoposti non vendessero le terre concesse senza il loro permesso e che pagassero le rendite di grano, di vino, dei legumi, del fieno e degli altri raccolti, compreso il pagamento di 4 soldi per manso, la legna a Natale, l’agnello a Pasqua, l’aratura, la semina e la gestione del controllo dei defunti e dei matrimoni.  

La dura fatica dei contadini, Salterio della Regina Maria, inizio XIV secolo, ms Royal 2 B VII, f. 78v.,
British Library, Londra.


Così richiedevano i canonici per Quarto ma non mancavano situazioni in cui, in altre zone, il signore di turno richiedeva tasse dal valore arbitrario o tributi personali annui pagati “a testa” (il “testatico”).  La condizione dei contadini era quindi molto gravosa. La troviamo ben illustrata da una miniatura d’inizio Trecento tratta dal Salterio della Regina Maria: i poveri contadini, sotto il severo sguardo di un sorvegliante al soldo del signore, sono colti nella fatica spasmodica di tagliare il grano con un falcetto. Fatica, violenza e abusi erano all’ordine del giorno: ad esempio, in un documento toscano del 1179, si registra la cessione di alcune terre ad un monastero. Assieme alle terre, venivano ceduti anche i contadini Boncio e Rognoso soggetti ad uno stato di dipendenza arbitrario e violento. Questa situazione veniva registrata e raccomandata anche ai nuovi padroni in quanto i vecchi affermando che, oltre alla cura delle terre, “gli facevamo fare altri servizi, ma con la violenza.” sottolineando inoltre che questo trattamento era ceduto “in perpetuo all’abate e alla chiesa del monastero suddetto.” Nel tardo XII secolo questo modus operandi era diventato la norma: proprio per questo, si richiese sempre più insistentemente una normativa per stabilire i rapporti tra signori e contadini. In effetti, gli obblighi ad un signore che subentravano per l’automatica servitù che scattava solo per il risiedere in un determinato luogo, aveva le ore contate. E non perché la signoria intesa come il dipendere da un signore stesse scomparendo ma perché il rapporto signore – dipendente fu maggiormente regolato da norme con una base contrattuale. Inoltre, con lo sviluppo della città, i contadini allettati dalle maggiori possibilità di lavoro (e introiti più dignitosi) abbandonavano i loro padroni oppure trovavano il coraggio per chiedere condizioni migliori in cambio di restare al loro servizio. Scomparve così quel servaggio contadino che si lasciò dietro qualche strascico tra Tre e Quattrocento.  


Bibliografia: 

A. Barbero, C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Laterza, 2019 
C. Frugoni, Paure Medievali, Il Mulino, 2020 
C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza, 2014 

J.M.H Smith, L’Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000), Il Mulino, 2008 

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