Donne medievali: vita, società e preconcetti


Ciao Babustorici!

Ho avuto l'onore di partecipare ad un evento bellissimo!
In occasione della “Giornata mondiale pel’eliminazione della violenza contro le donnesi è tenuta la presentazione del libro Niente ci fu” di Beatrice Monroy (Edizioni La Meridiana) presso la Sala Consiliare del Comune di Cassano delle Murge (BA). L’iniziativa è stata curata dalle associazioni Poliedrika APS Officine del Sud.In qualità di storica dell'arte sono stata invitata a parteciparvi per parlare di...donne nel Medioevo!Qui di seguito il mio intervento per la pubblica fruizione, lettura e approfondimento.
Buona lettura, gente!


Claudia Babudri


Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, ms. 1130, f. 004v


La domanda è una.
Da dove partiamo per parlare della condizione femminile nel Medioevo? Dai testi giuridici , dalla documentazione della storia familiare e...dai  chierici, come  Ghiberto di Nogent, Marbodo di Rennes, Ildeberto di Lavardin e Goffredo di Vendôme, detentori della  morale e del costume. E'  nel contesto dotto che si sviluppa la questione femminile. Il dibattito verte sulla donna in quanto "fragile flagello", Eva tentatrice ...o nel migliore dei casi "Ave" sull'esempio della Vergine o di Sara, devota e ubbidiente moglie di Tobia. La donna per costituzione non sa prendersi cura di se stessa: lo dice anche la scienza galenica. Ed è velenosa ed infida. Per questo l'uomo deve ammaestrarla, dandole la giusta direzione. La donna perfetta è quella che non parla, che cammina senza far rumore ad occhi bassi...La donna va controllata perché sennò crea scompiglio. 


Stammheim MissalJ. Paul Getty Museum, 1160 -1170.


Per parlare dell’universo femminile medievale dobbiamo partire dall’indagine su testi giuridici, vite dei santi e documentazioni di storia locale e familiare. Molto importanti anche i documenti desunti da istituzioni ecclesiastiche, centri di preghiera e memoria
Dunque sono i chierici a parlarci delle donne. Gente come Ghiberto di Nogent, oblato in un monastero benedettino ancora bambino, scollato dalla vita mondana e dall’universo femminile, fonte del tormento maschile. Infatti, pur se occupando un posto ridotto rispetto alla preminenza maschile, le donne creavano scompiglio, tentavano il mondo maschile. 
Una donna con le chiome sciolte armata di spada era al tempo stesso fonte di spavento e fantasia per l’uomo medievale. Ma di tutto questo e dell’universo femminile, cosa poteva saperne un uomo come Ghiberto consacrato al secolo?  Eppure, uomini come lui avevano commentato duramente il mondo femminile. Anche Sant’Ambrogio, Benedetto e Agostino l’avevano fatto, seguiti dai grandi prelati del XII secolo: Marbodo di Rennes, Ideberto di Lavardin e Goffredo di Vendôme

La Chiesa si occupava dell’educazione (sin dal VI secolo con la nascita del monachesimo) ma anche della morale e del comportamento. Infatti, eredi della riforma della cristianità medievale madre della fioritura monastica attuata tra X e XI secolo (Cluny, Camaldoli e Vallombrosa) che vide in Gregorio VII il suo maggior propugnatore, i nostri tre religiosi sono chiamati a testimoniare con i fatti la validità delle riforme varate.  
In questo contesto, un dibattito estremamente interessante è quello che si crea attorno alla questione femminile: donne, “fragile flagello”, della società.  Nel carteggio rivolto ad Ildeberto, parlando dell’aspra contesa su alcune terre rivendicate dalla contessa Eufrosina di Vendôme, vedova di guerra, Goffredo lo mette in guardia sulle donne in quanto “il sesso femminile ha l’abitudine di approfittare" proprio come Eva era riuscita a sedurre e confondere Adamo. “Questo sesso” commenta Goffredo “tutti quelli che seduce o li esclude dalla vita, come Pietro da Cristo, o li porta alla morte, come Adamo dal Paradiso.” Della donna, male necessario, si diffida. Specialmente se conosce le erbe, se sanno dove trovarle e come usarle. Ildegarda di Bingen, Trotula o Caterina Sforza sapevano utilizzarle a fini curativi ma furono molte le donne sospettate di manipolare erbe e sostanze naturali per fare del male. Per quanto il fenomeno dell’avvelenamento appaia trascurato dalle cronache, non mancano attestazioni di timori nei confronti di alcune donne sospettate di incantesimi e fatture. Infatti, per quanto sia possibile l’esistenza di una criminalità di stampo specificatamente femminile, salvo i casi in cui era riconoscibile una esplicita volontà di uccidere e il riconoscimento di polveri sospette, l’avvelenamento è stato a lungo difficile da scoprire.  

La donna può essere Eva, in quanto tentatrice e latrice di male ma anche ave, simbolo di vita e origine del bene riscattata nel nome di Maria. Il XII è il secolo del culto mariano. Vengono consacrate grandi cattedrali alla Vergine, esempio di carità e verginità con le braccia verso l’umanità adorante. È in questo esempio che la donna medievale trova il suo riscatto: nella casta vita familiare tra figli e marito. Anche la scienza galenica sembra attestare questa propensione femminile verso il focolare riprendendo vecchie reminiscenze del Timeo di Platone in cui si commenta che “nelle femmine, l’utero è un essere vivente posseduto dal desiderio di fare figli”. La credenza del dislocamento verticale dell’utero femminile (risalente ad Ippocrate) e il suo essere soggetta ai soffi e all’isteria, hanno contribuito a creare preconcetti e false credenze sulle donne. Ad esempio, seguendo le teorie di Aristotele, si credeva che una donna mestruata, con la forza del suo sguardo, potesse annebbiare gli specchi alterando l’aria circostante sulla sua superficie. Inoltre, si ritenevano le donne in menopausa più pericolose e velenose tra tutte. Veleno: difetto insito nel mondo femminile. La donna è costantemente curiosa e irrequieta, atteggiamenti spiegati dall’accesso di umidità di cui sono pregni gli umori femminili rendendone il corpo molle e instabile. Per questo la donna non è ritenuta capace di gestirsi, compito demandato agli uomini, gli unici ritenuti in grado di poterlo fare. Del resto, la concezione che l’uomo (“vir”, “forte”) sia più solido e capace della donna (“mulier”/”mollier”, “debole”) è storia antica.  


Una contadina, Libro d'Ore, Francia, Parigi, 1475 circa.


Se da un lato la donna viene allontanata dalla vita pubblica della comunità per rinchiudersi in casa o in monastero, dall’altro viene separata dall’esteriorità del suo corpo a vantaggio della cura dell’interiorità della sua anima.  

Per sfatare alcuni falsi miti, nel Medioevo ci sono donne che lavorano: aiutavano i mariti occupandosi della casa, del bestiame, della produzione casearia, del miele, del luppolo, della raccolta delle olive e dei frutti dell’orto e degli alberi. Si occupavano anche della pesca di fiume e di lago. Tra i loro lavori, anche l’artigianato: ad esempio, la corporazione dei pellicciai di Basilea, nel 1226, contemplava la presenza di donne. In generale le donne potevano accedere alle corporazioni come madri, mogli, vedove di maestri o non aderirvi come ad esempio le filatrici di Norimberga, la cui antica attività fu registrata solo a partire dal 1526. Le donne potevano occuparsi di commercio (specie tra XIV e XV secolo), ostetricia (levatrici) o insegnamento.  


Nell’Alto Medioevo troviamo donne acculturate come la principessa ostrogota Amalasunta, la poetessa Rosvita o Dhuoda, moglie di Bernardo di Septimania, autrice del Liber Manualis. Anche qui, l’educazione veniva esercitata nei monasteri in cui, anche alle donne, era richiesto il saper leggere e scrivere (pena frustrate, tipica punizione per i monaci pigri). Durante il periodo carolingio, l’educazione femminile in mano ai maestri, si basava su libri ordinati in Irlanda e Roma. Si formavano così biblioteche, frutto dell’eredità lasciata da queste donne. Ricordiamo il Breviario della regina Ansa (madre della badessa Angilberta) custodito nella biblioteca di San salvatore a Brescia. Sempre, tenendo a mente questo jingle: castità, silenzio, operosità, misericordia e custodia del focolare. I chierici, in special modo, raccomandavano di seguire l’esempio biblico di Sara, moglie di Tobia, sposa casta, obbediente e devota, dalle più sante intenzioni matrimoniali (tra cui amare il marito ed onorare i suoceri). Per il vescovo di Rennes, Stefano di Fougères, cappellano di Enrico il Plantageneto, autore del Libro delle maniere (1174 – 1178), la donna, di base peccatrice e tentatrice, necessita di un uomo che la controlli, essendo instabile, nociva, insopportabile e passiva per natura. Nel matrimonio, per l’alto prelato, la donna si deve comportare come un fedele suddito nei confronti del suo signore e padrone, colui che la prende in custodia. 


Due nobildonne, f. 5r, Bibliothèque Sainte-Geneviève, 1126.



In generale, è proprio la custodia a farla da regina: nel caso delle religiose, con la reclusione in monastero e l’abbandono delle esigenze corporee a vantaggio delle spirituali; per le laiche attraverso la regolamentazione degli spazi interni/esterni dalle abitazioni in maniere da contenerne l’irrequietezza. Sono i padri, i fratelli e i mariti ad occuparsi di loro. E sono i monaci a predicarne la giusta condotta. Allevate nei monasteri o nelle corti feudali, l'educazione era sempre una: padri e mariti, insieme alla letteratura pedagogica, erano concordi nel sottolineare l’inferiorità della donna, a sua volta educata a sacrificare la sua vita, ad agire adeguandosi ai dettami altrui, a farsi governare e dirigere. Le donne devono essere attente a contenere la propria vanità nell’ornarsi e nel vestire. Se nobili, possono scegliere abiti ricercati ma solo per trasmettere la potenza del proprio casato e non per vanità personale. Tutto, ovviamente, nei limiti del decoro al fine di non creare scandalo.  La donna doveva essere ordinata e la sua bellezza, ad incominciare dalla cura dei capelli, non doveva mai scadere nella vanità. Il predicatore Odo di Cheriton (1185-1247) terrorizzava le non ravvedute narrando della dannata che, apparsa al figlio, lamentava la sua sorte dovuta alla vanità con la quale si curava i capelli.  


MS M. 638 f.19r, Bibbia Morgan, Parigi, Francia, 1244-1254, circa.



Anche la gestualità femminile si orienta nella stessa direzione: alle donne si raccomanda di avere lo sguardo basso, camminare senza far rumore, non agitare le mani, non muovere troppo il capo. Tutto questo al pari dell’alimentazione: alle donne è caldamente raccomandata la sobrietà alimentare. Per le laiche il mangiare senza eccessi è caldamente consigliato ma non in maniera così rigida come nei confronti delle monache. Inoltre, religione, esegesi e giurisdizione medievale sono concordi nell’elogiare la donna taciturna, quella che parla il meno possibile e ubbidisce senza fiatare.  Sia religiose che non, inoltre, non possono pascere nell’ozio, amico del vizio. Infatti, come le laiche devono occuparsi delle case, le monache della carità. Sin dall’infanzia la donna è istruita a questi dettami.


Ad esempio, nel romanzo Galeran, la piccola Frassino, educata da una badessa, impara il buon vivere cortese e le arti sociali (anche conoscenze letterarie e il gioco degli scacchi).  Ma non solo. Le donne dovevano essere preparate alla vedovanza e alle avversità. Frassino, nobile oblata in monastero, sa cantare, suonare l’arpa, cacciare con il falcone, tessere, ricamare, parlare latino e ovviamente leggere e scrivere. Il cantare e il suonare erano abilità professionali basilari per le dame di compagnia e di corte. Qui, le funzioni delle donzelle comprendevano intrattenimento, servizio a tavola, tessitura, accoglienza e disarmo ospiti (raccogliere e custodirne le armi) e il loro accompagnamento, presentazione delle portate, illuminazione della sala reggendo i ceri, preparazione dei letti. 


Dame, particolare dalla "Ricerca del Santo Graal e la morte di Artù", Gautier Map ,1301-1400


Il senso del contenimento e del controllo è ben espresso anche nella gestualità e ritualità del matrimonio. Questo sacramento, metteva ordine e pace sociale, garantendo nel contempo alle dinastie e alle famiglie il tanto desiderato erede. In effetti, senza il consensum, i giovani principi avrebbero potuto spadroneggiare in nome della terra, prendendo più mogli, generando più figli che, una volta cresciuti avrebbero fatto cadere interi sistemi socio-politici nel caos, combattendo tra loro.


È questo il caso di Guglielmo il Conquistatore, figlio di Riccardo I e una cortigiana di nome Arlette. Siamo nel lontano XI secolo. Premessa: Riccardo, non aveva concupito solo quest’ultima, ma anche altre cortigiane (secondo l’uso del more danico). Poiché alla sua morte, non espresse il nome del suo erede, i figli di queste concubine si dichiararono guerra per il potere. Tra tutti, ovviamente, la spuntò Guglielmo.  La formula e il modello indissolubile e monogamico del rito cristiano, basato sul legame reciproco degli sposi, va concretizzandosi nel corso del XIII secolo (consensum).


Il concetto di indissolubilità risaliva a Carlo Magno. Questo tipo di matrimonio, in cui il marito-padrone aveva ruolo preminente, rappresentando “la prima istanza di controllo sociale delle proprie mogli”, era il simbolo ideale della società maschile. Spesso bambine, subito dopo la promessa, le giovani spose venivano condotte in monastero o nella corte del futuro sposo in quanto pegno di interessi politici e/o economici. Il ruolo della donna, confinato alla maternità e al matrimonio, si riduceva al fianco di uomini caldamente raccomandati o imposti dalle famiglie.


E il matrimonio, come riferiscono testi giuridici e le istanze vescovili afferenti a “questioni familiari”, era spesso infelice, condito di violenze e soprusi ai quali le donne cercavano di ribellarsi fuggendo, mentendo o denunciando. Ad esempio, Radegonda, figlia di Berterio, re di Turingia, dopo aver visto morire padre e parenti per mano di Clotario I di Francia, fu rapita da lui quando aveva dieci anni e costretta a sposarlo successivamente.  Si ritiene che Clotario fosse un uomo collerico e molto violento. Come G. Duby ricorda, “il buon matrimonio non è questione di individui ma di famiglie”.


Una buona famiglia, priva di scandali avrebbe offerto al marito non solo una buona contrattazione economica ma anche la certezza di rispettabilità. Anche la belga  Juette, tredici anni, fu costretta dal padre a sposarsi giovane per profitto familiare. Il matrimonio, con le sue forzature e la sua ferocia, con tre parti dolorosi consumati tra l’adolescenza e la prima giovinezza, le risultò così doloroso e penoso da spingerla a chiedere aiuto all’arcivescovo di Liegi. Costui, per intimidirla, la convocò a corte e la giovane, per fuggire da quel matrimonio scellerato scelse di farsi monaca come via di fuga. Le mogli dei mercanti, ad esempio, vivevano la loro quotidianità in casa con la chiesa come unica occasione di mondanità.


Ma c’erano donne che fuggivano o cercavano di farlo? Certo, ma il più delle volte venivano scoperte e riacciuffate. Inoltre, scappare comportava il perdere la propria dignità e ritrovarsi sole, al di fuori della famiglia. Attraverso la fuga, le donne cercavano di mettere una distanza non solo fisica ma anche giuridica con le situazioni e le persone da cui si scappava. Poteva accadere che, anche nella fuga, si veniva illuse e tradite. Nella seconda metà del XIV secolo, Monna Riguardata, una giovane sposata con un uomo vecchio e laido, cadde nel tranello di un giovane amante con il quale fuggì a Bologna per ritrovarsi nel malaffare. 

Il parto, British Library, Royal 16 G VII, fol. 219r.

Concludo ricordando la presenza di donne nubili, molto importanti nella documentazione demografica, in particolare tardo medievale. Queste donne, la cui condizione era marginale, lavoravano finché la salute lo consentiva, impegnandosi spesso in attività svincolate dalle regole e organizzazioni corporative (come il settore tessile).
Per le vedove povere, l’unica strada era il monastero: presso i Cistercensi prima e Francescani e Domenicani, poi. In particolar modo, in Francia, le organizzazioni religiose al femminile si concretizzarono nell’esperienza assistenziale delle beghine. Per le vedove ricche, invece, specialmente dal XIII secolo, si evidenzia una maggiore libertà dovuta esclusivamente alla necessità delle famiglie d’origine di non disperdere ulteriormente il patrimonio familiare attraverso un secondo sposalizio. 

Per quanto Carlo Magno ci abbia provato, forte del suo trionfo sull’aristocrazia e dei vescovi sui monasteri, cercando di dare un freno al ruolo vario e collaborativo della donna nei secoli precedenti (V, VI e VII), nel X secolo troviamo badesse in posizioni di potere. Insomma, il ruolo subordinato della donna, durante il Medioevo, ebbe delle pause. Dunque, la storia, nella sua infinita grandezza, riesce a sfatare ogni mito: nonostante tutte le difficoltà, le donne nel Medioevo hanno lavorato e alcune di loro come - Rosvita e Dhuoda - sono state intellettuali di incredibile calibro, scrittrici, poetesse. Il Medioevo, infatti, non è tutto bianco o tutto nero ma nella sua scala di infinite sfumature di grigio ci propone l'esempio di donne ribelli, controcorrente, donne nubili, vedove, povere o ricche. Donne che in ogni caso hanno fatto la Storia. 


Bibliografia:  A. Giallongo, Il bambino medievale. Storia di infanzie, Dedalo 2019   G. Duby, Il potere delle donne nel Medioevo, Laterza, 2014  G. Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, Laterza, 1999 G.  G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne in Occidente vol. II. Il Medioevo, Christiane Klapisch Zuber (a cura di), Laterza, 2005
M.
 G. Muzzarelli,
Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo ad oggi, Laterza, 2014  M.S. Mazzi, Donne in fuga. Vite ribelli nel Medioevo, Il Mulino
V.
 
Zallot, Sulle teste del Medioevo. Storie di immagini e capelli, Il Mulino, 2021

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