PRENDERE IL TORO PER LE CORNA: ICONOGRAFIA E STORIA DI UN SIMBOLO

Il toro, British Library, Royal MS 12 C. xix, Folio 32r


Il toro è un animale strettamente legato al divino: basti pensare all'iconografia dell'indo persiano Mithra raffigurato su di esso per sacrificarlo o a Dioniso ritratto come toro o rappresentato con corna taurine...



A caccia di tori, Bestiario di Rochester, Royal MS 12 F XIII, folio 36v, British Library, Londra




Il significato di un simbolo:

In generale, sin dal Paleolitico, il  toro è simbolo di potenza, fertilità  e rigenerazione
Grandi tori o uri compaiono negli affreschi di Çatal Hüyük, ricoprendo interamente le pareti dei santuari o campeggiando  sugli alzati  come decorazioni rituali associati ad avvoltoi, mandibole di cinghiale o rombi, nidi d'ape e bande a zig-zag stilizzate. "I tori sono personificazioni della forza generativa della Dea" ci spiega Marija Gimbutas, archeologa e linguista lituana vissuta nel secolo scorso. Per la studiosa, la figura del toro era pregna di un'energia straordinaria legata alla rinascita come attestano alcuni ipogei sardi dalla funzione funeraria (IV e III millennio a.C). Mistica sorgente di vita, il toro è manifestazione terrena delle acque cosmogoniche: non a caso, infatti molti dei fluviali si trasformano in questo animale. "Secondo le tradizioni popolari lituane" afferma la studiosa ne "Il Linguaggio della Dea", "i laghi seguono i tori: dove un toro si ferma, là appare un lago". Tutto nel toro è vita: fiori e piante spuntano dal suo corpo  che, sacrificato, genera insetti e farfalle, emblema della potenza divina. 


Preti sacrificano un giovane toro,  Sloane MS 3544, folio 17r, British Library, Londra

Il sacrificio rituale  di questo animale è presente nella discesa agli Inferi di Enea: l'eroe, munito di un ramo di vischio, si reca nell'Ade per interrogare il padre  Anchise, il quale, bevuto il sangue del toro, potrà comunicare con lui.  In altro contesto,  la simbologia taurina  torna anche nell'Esodo (XXIV, 4-8), nell'episodio in cui  Mosè offre in sacrificio dei tori , banchettando con le carni, servendosi del sangue per benedire il suo popolo. Nell'Irlanda antica il sangue del toro aveva proprietà  divinatorie. Infatti, secondo gli studi di Robert Graves, letterato inglese del XX secolo, questa usanza  sarebbe attestata   nel Lebor na hUidre (ovvero il Libro della Vacca Bruna), antico romanzo irlandese  del XII secolo. Nell'opera, oggi custodita alla Royal Irish Academy, si menziona la "Festa del toro" in cui, sacrificato l'animale, mangiate le carni e bevuto il brodo ottenuto dal suo sangue, si cantava sopra la sua carcassa un incantesimo di verità al fine di scoprire, in sogno, la figura, l'aspetto e l'occupazione di colui che diverrà  nuovo re. James Frazer, antropologo e storico delle religioni vissuto tra Ottocento e Novecento, racconta che in Madagascar, per evitare calamità e incidenti violenti, era consigliato portare "sulla testa un vasetto pieno di sangue sulla groppa di un toro". In Slesia, Boemia o Prussia, esso è simbolo di  prosperità, incarnazione dello spirito del grano, sacrificato o invocato simbolicamente a fine raccolto sul campo della mietitura.  Infine, nel Libro di Carmarthen , antica opera scritta interamente in gallese contenente  eterogenei testi poetici (dal IX al XII secolo), l'eroe Gwyn è descritto come potente "toro della lotta" ovvero l'essenza maschile per eccellenza.

Nei Bestiari medievali, come studiato da Michel Pastoureau
storico e antropologo francese, il toro è famoso per la potenza sessuale (con i suoi genitali si preparavano rimedi per aumentare la virilità dell'uomo), la foga difficile da domare (attraverso la castrazione strategie singolari  come legarlo ad un fico, albero freddo, per neutralizzarne l'ardore) o il sangue che non si coagula. Come cavalieri in lotta per le dame, i tori combattono per le giovenche. Sono animali lussuriosi, strettamente legati al pagano (culto mitranico) che, i primi cristiani vollero distruggere e dissacrare dipingendoli come creature violente e lussuriose.



 De Natura animalium, Ms. 711, folio 19r



La storia dell'icona:

Fritz Saxl, storico dell'arte austriaco vissuto tra Ottocento e Novecento, racconta la storia dell'iconografia del toro, accompagnandoci in un viaggio straordinario che ne spiega l'evoluzione partendo dai "primi tempi in cui l'uomo cominciò ad allevare bestiame" fino all'avvento del Cristianesimo. "Domare il toro fu una delle grandi conquiste della civiltà" precisa lo storico "e la battaglia col toro, la vittoria sul potente animale, divenne una immagine della forza dell'eroe". Costui era imponente quanto il nemico sconfitto ai suoi piedi o sollevato con energica forza da terra. L'uso della violenza per piegare questo animale è attestato anche nella Grecia antica e a Micene: qui, l'eroe è raffigurato con un ginocchio a terra nel mentre tiene piegata la testa del toro, immagine mutuata nella scena in cui Ercole sconfigge il centauro a Nesso.

Lapite e centauro, metopa del Partenone


Ma è a Delfi e ad Olimpia che, tra VI e V secolo, l'immagine dell'eroe vittorioso sul toro fu perfezionata, "divenendo subito classica nel momento stesso in cui fu inventata". Il prode vincitore, ginocchio puntato contro il toro, ne afferra la testa mentre poggia l'altro piede a terra. A questo modello si rifanno le scene di  Bellerofonte che doma Pegaso, del lapite che piega il centauro,  o della Nike, dea della Vittoria, nell'atto di sacrificare un toro per celebrare la vittoria ateniese. Altra immagine  è quella legata a Mithra, divinità indo-persiana che si diffuse in Mesopotamia, Grecia e poi Roma, divenendo molto comune tra i legionari. Oltre ad essere apprezzata perché potente raffigurazione del guerriero, Mithra era venerato in quanto protettore delle mandrie e dei raccolti. Per questo, era ritratto nell'atto di sacrificare un toro in una caverna, producendo fertilità, trasformando la coda dell'animale in spighe di grano. Mithra, divinità della Luce, porta il suo calore sulla terra in cui la bellezza del suo influsso è osteggiata dalla presenza malvagia di uno scorpione che punge i genitali del toro, avvelenandone la creazione. Il culto di questa divinità fu spazzata via da Costantino e dal Cristianesimo  per riemergere, nel XII secolo, nell'iconografia di Sansone che vince il leone, simbolo del Cristo trionfante. La vecchia iconografia di Mithra fu ripresa nel Cinquecento come obiettivo di studio e ricerca prettamente archeologica.


Bibliografia di riferimento:

F. Saxl, La storia delle immagini, Roma Bari 2005, pp. 7-10;
M. Gimbutas, 
I
l Linguaggio della Dea, Venexia, 2008, pp. 264-275;
M. Pastoureau, Bestiari del Medioevo, Einaudi, 2012, pp.131-133;
R. Graves, La Dea Bianca
, Gli Adelphi, 201,  pp. 120-121, 244, 256 - 257, 446;
J. Frazer, Il Ramo d'Oro, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 468-557, 633, 548 - 551;
Virgilio, Eneide (libro VI), Oscar Mondadori, 1991.

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