La famiglia tardoantica: violenza domestica tra giurisdizione e letteratura



Oggi voglio parlarvi della famiglia tardoantica (IV-VII secolo) delineandone la gestione familiare e le caratteristiche in riferimento ai principi normativi fondanti. Prima di iniziare la trattazione, chiedo al lettore di calarsi nella mentalità dell’epoca guardandola senza il giudizio odierno. So che sarà difficile... In riferimento alle più deprecabili azioni, è normale che ognuno prenda le distanze   ma, quando si fa storia, per quanto dentro di noi  sia forte la repulsione, è d’obbligo non attualizzare, né tantomeno fare paragoni, cercando di definire il rapporto con i valori che reggevano la società analizzata in cui, l’impiego di alcuni fenomeni, come ad esempio la coercizione fisica da parte del paterfamilias , erano inquadrati in un'ottica particolare. Scopriamola insieme.


Catacombe di Commodilla, Roma



Nella famiglia tardoantica si incontrano famiglia romana e famiglia cristiana. Per arrivare al matrimonio,  anche nel Tardoantico, si partiva dal fidanzamento o promessa tra due soggetti. Parliamo della cosiddetta  velatio nuziale: questo rito era vincolante in quanto approvato dal vescovo. Dunque, la sua rottura era equiparata all' adulterio. A questo proposito è interessante il contenuto di un decretale del 385 indirizzato ad Imerio, vescovo di Terragona: "Hai chiesto anche, a proposito della velatio nuziale, se è possibile che qualcuno sposi una ragazza che era stata già promessa a un altro. Proibiamo assolutamente che questo avvenga, perché la benedizione che il sacerdote impartisca alla promessa sposa, se è violata da una trasgressione, è ritenuta presso i fedeli alla stregua di un sacrilegio". Il fidanzamento si poteva rompere solo in caso di ratto della donna. A tale fenomeno, sotto Costantino I e poi  suo figlio Costanzo, si faceva ammenda con il matrimonio, fenomeno maggiormente regolamentato da Giovano nel 364. Il sovrano prescrisse infatti  la  pena capitale non solo in caso di   rapimento di donna dedicata a Dio ma anche per il rapimento a scopo di matrimonio. A parte qualche eccezione soprattutto più tarda, a partire da questo momento, il delitto di rapimento della donna dedicata a Dio era delineato nei suoi tratti distintivi, tanto da trovare una stabile e specifica collocazione nella successiva legislazione. La severità contro il rapitore e l’ininfluenza del consenso della rapita rispetto alla possibilità di attenuare il reato, erano gli elementi caratterizzanti del ratto nel diritto imperiale di età cristiana. Da questa legislazione, che focalizza sull'uomo responsabile del ratto  le conseguenze del reato, si distingue quella ecclesiastica, che, a proposito delle vergini consacrate, sposta la colpa sulla donna, colpevole di tradimento verso Cristo. Sul tema delle fanciulle fidanzate e rapite, si espresse chiaramente anche il concilio di Ancira, nel 314, ordinando la restituzione della fanciulla al fidanzato legittimo. 

Una volta sposati, quali erano le dinamiche familiari e matrimoniali? Nel 449 d.C, Teodosio II scrisse  al prefetto del pretorio orientale Hormisdas  definendo per la prima volta i limiti della violenza nei confronti delle mogli e le conseguenze delle azioni del paterfamilias nel diritto matrimoniale, dichiarando che frustare la moglie, al pari del sopportare relazioni con donne di malaffare (e non schiave domestiche), poteva  costituire un motivo legittimo di divorzio dal marito  da parte della consorte  lesa nella dignità di persona libera. Con questa riflessione sulla fustigazione, Teodosio evidenziava solo un motivo per divorziare, non esprimendosi in materia di etica e di morale in quanto, al tempo, la fustigazione era considerata educativa. In generale, nel Tardoantico, pur stabilendo una certa simmetria tra i coniugi, il marito  aveva  il controllo esclusivo  sul comportamento della moglie che, se  non conforme alle leggi e alla morale dell'epoca (cenare con estranei o andare a teatro senza il permesso del coniuge), era ritenuto  lesivo nei confronti della sua dignità di uomo. 

A questo proposito, forte dei dettami cristiani,  Costantino  nel  331 stabilì giuridicamente i limiti precisi dello scioglimento unilaterale del matrimonio attraverso un documento di separazione. Ovviamente, il matrimonio poteva essere sciolto solo per cause gravi che comportavano l'adulterio...ma solo se commesso dalla donna la quale, avendo tradito il marito,  andando contro i dettami cristiani, poteva essere ripudiata dal coniuge. Infatti, secondo quanto testimonia Basilio di Cesarea,  un marito adultero o frequentatore di prostitute non costituiva motivo di separazione. Su questo argomento si sono confrontati dotti ed intellettuali: ad esempio, Agostino e Giovanni Crisostomo sostenevano con forza la parità  di uomini e donne nel separarsi causa adulterio con donne o uomini di malaffare. Invece, secondo quanto stabilito da Costantino, il divorzio  su iniziativa femminile era possibile solo se il marito si era macchiato di delitti capitali. Dunque,  escludendo l’adulterio, il sovrano  limitò la casistica di divorzio ad una piccola percentuale, rendendolo sostanzialmente inaccessibile nella generalità delle circostanze. 

Nel 449,  Teodosio II  allargò giuridicamente l’arco delle cause legittime di divorzio. L'imperatore cercò di laicizzare l'ambito matrimoniale, riconoscendo la necessità di offrire una via di uscita dal matrimonio a chi fosse vittima di situazioni umilianti  in quanto,  la severa e inaccessibile normativa approvata da Costantino, generò la difficoltà di accedere al divorzio, inasprendo le tensioni familiari e sociali. Tra le situazioni umilianti citiamo la violenza domestica, fenomeno  attestato in  letteratura sin dall'antichità. Partiamo dall’Iliade in cui Giove minaccia Giunone con la forza costringendola a sedersi terrorizzata in silenzio, poi la Lisistrata di Aristofane, in cui  Kalonike e Lisistrata dialogano sulla possibilità che i loro mariti impieghino la violenza per trascinarle in camera da letto, ancora  nella Vita di Alcibiade di Plutarco con la descrizione del protagonista intento a trascinare  per strada la moglie per impedirle di divorziare e poi  Filostrato che, nelle Vite dei Sofisti, narra dell’accusa rivolta a Erode Attico per aver fatto battere a morte da un liberto la seconda moglie incinta  ed infine  Valerio Massimo e Plinio il Vecchio  testimoni del caso di Egnazio Mecennio  che aveva vendicato la sua pubblica reputazione uccidendo a bastonate la moglie per violazione della sobrietà (la donna aveva bevuto oltre il limite consentito dalla morale dell'epoca). C'era dunque un codice comportamentale per la donna che doveva sottostare alla potestà del marito. Questa situazione trova degna espressione in un episodio delle Confessioni di sant' Agostino in cui l'autore elogia il comportamento esemplare di Monica, sua madre, sottomessa al marito - e padre - violento. Questo racconto evidenzia come la violenza maschile non solo era  tollerata ma anche  giustificata. Come Monica,sottomessa al marito, anche altre donne lo erano. Monica è  l'esempio della  subordinazione femminile , fenomeno riportato  da vari autori cristiani, prevalentemente di area occidentale,  basato  sull’esegesi di testi biblici. Quindi, rifacendosi a questi ultimi, Agostino giustifica il fenomeno in quanto  l’uomo ha il compito di educare la moglie (alla presenza della suocera) così come i figli anche a suon di bastonate (verberatio) ritenute necessarie ai fini educativi. Ogni tendenza tesa a sovvertire quest' ordine rappresenta per il dotto vescovo di Ippona una dinamica viziata.

Bibliografia:

V. Neri, B. Girotti, La famiglia tardoantica. Società, diritto, religione, LED Edizioni Universitarie, 2016 



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