Ambivalente e complesso: Giallo






Vivace, ricco, luminoso, energico...Tutto questo è il giallo, simbolo del calore, della ricchezza e del potere. Il giallo rappresenta la  vita, il vigore, l'opulenza e la grandezza. Ma che succede se  la sua luminosità si sporca?  
Il giallo è destinato a perdere la sfavillante bellezza e l' aulica simbologia. 
Ben lo sapeva Johann Wolfgang von Goethe che, pur confermandone le qualità "dolcemente stimolanti di serenità e di gaiezza", ci mette in guardia sul lato oscuro di questo colore, capace di produrre "un’immagine sgradevole" o, come diremmo anche oggi, "ingiallita" delle cose. Infatti, continua lo studioso "è sufficiente un leggero e impercettibile movimento [per farne] il colore dell’infamia, della ripulsa e del disagio". 
Povero giallo! Non piace perché è associato all'estraneo e all'emarginato, a colui che viene ripudiato, pregno di infamia. Giallo come le foglie morenti, giallo come ciò che invecchia o che viene dimenticato, giallo come la malattia e la follia, giallo come la repulsione e la discriminazione o giallo come il mantello di Giuda, il traditore per eccellenza. "Il giallo è indubbiamente il colore meno amato, quello che si osa sfoggiare di meno e che, talora, fa vergognare" commenta il medievista  Michel Pastoureau
Insomma, il giallo  incarna  pregi ma anche  difetti. Ma da dove nasce  questa ambivalenza? 
Con l'aiuto degli autorevoli studi di Pastoureau, cercherò di tracciare la complessa storia di questo colore, narrandovi delle sue luci e delle sue ombre. 

Buona Lettura
Claudia Babudri 





Statua di una matrona (circa 100-110 d.C.), 
Gliptoteca di Monaco di Baviera



Il giallo nell'Antichità

Non è semplice definire i colori in quanto costruzione culturale cangiante  nello spazio e nel tempo. Il  giallo è caratterizzato da un lungo e articolato processo di definizione alla volta dell'autonomia cromatica. Infatti, a differenza del rosso (primo tra i colori), del bianco e del nero, il giallo è diventato "categoria  socialmente radicata e concepita"  solo più tardi rispetto agli altri. Ma attenzione: ciò non significa che non sia stato utilizzato! Durante il Paleolitico con l'ocra gialla si dipingevano  suppellettili,  sepolture, e,  insieme ai più usati rossi e neri, le pareti delle caverne e delle grotte più celebri come "Chauvet, Cosquer, Lascaux, Pech-Merle, Altamira e altri siti databili fra il 33.000 e il 13.000 a.C." 

Per i pittori del Paleolitico, l'ocra gialla era facile da reperire, dalla tenuta stabile e per nulla tossica, composta dall’idrossido di ferro, presente negli strati sabbiosi (composti fino all’80% di quarzo). Estratte dalla sabbia, liberate dalle impurità, le particelle d'ocra erano lavorate al fine di ottenere una pasta di "grana fine e fitta che diluita e addizionata di grassi e cariche di vario genere veniva  utilizzata come un pigmento dalla grande forza colorante". A questo proposito ricordiamo i ritrovamenti di  "mortai e pestelli per polverizzare l’ocra; conchiglie per recuperare e trasportare il materiale così ottenuto; tubi in osso di uccello per proiettarlo su una parete; pietre piatte che fungevano da tavolozza; bastoncini d’ocra induriti per disegnare". 

Anche se è prematuro parlare di simbologia del colore, possiamo affermare che in Occidente, durante il Neolitico e l’età dei metalli si stabilizzano i primi referenti lessicali del giallo legato all'oro, metallo divino, protagonista di molte storie e mitologie, in primis quella greca e romana. A Roma si conosceva il giallo e si avevano vari aggettivi per definirlo. Ad esempio, per indicare i capelli biondi dei Romani e dei Greci si usava il frequente "flavus" sostituito dai dispregiativi "luridus", "pallidus" (giallo smorto) , "rutilus" o "russus" (rossastro) per le capigliature di Germani, Celti e Slavi. Se con "flavus" si intendeva  il giallo chiaro,  "fulvus"  indicava una tonalità più scura ma sempre brillante. "Luteus" indicava il giallo più ordinario mentre "aureus" la tonalità più ricca e più nobile del giallo oro la cui nemesi eran il "luridus"  giallo sporco. Vi erano poi gli aggettivi  "croceus" (giallo a base di zafferano) e  "luteus" (giallo tendente all’arancione), termini derivanti dalle pratiche tintorie

A questo proposito, ricordiamo che a  Roma i tintori, uniti in corporazioni specializzate per colore e sostanza colorante, alla fine della  Repubblica si dotarono della Constitutio tinctorum in cui  gli artigiani erano suddivisi in undici categorie tra le quali tre riguardavano gli arancioni e i gialli: i flammarii (arancioni a base di cartamo), i crocotarii (gialli a base di zafferano) e i luteolarii (gialli a base di guada). Fermo restando che le sostanze utilizzate dai Romani per tingere erano le stesse di cui si servivano gli altri popoli dell’Antichità, tra le tinture, la più cara e preziosa rimaneva quella a base di zafferano (crocus). Si utilizzavano anche la meno costosa guadaalta erba perenne e selvatica presente in molte regioni e la ginestra. Ovidio, poeta e conoscitore del suo tempo, ci informa che abiti giallo oro e giallo zafferano erano in auge tra le signore, sue contemporanee. 

Ma, si domanda a questo punto Michel Pastoureau, il giallo e l'oro compaiano nella BibbiaSe il primo è assente, più frequenti sono le tonalità dell'oro, della cera, del miele, dello zafferano e del grano maturo, colori che si rifanno al giallo indirettamente...


Insegne recanti arme nella Wappenrolle von Zürich (Zurigo, ca. 1330-1335). Zürich, Musée national suisse.



Il giallo nel Medioevo

Quindi, cosa succede tra  VI e XV secolo
Il codice liturgico cristiano rimase privo del giallo per tanto tempo a causa del lungo silenzio della Bibbia e dei Padri della Chiesa sull'argomento. In effetti, agli inizi, gli officianti del rito cristiano vestivano di bianco o di tessuti non tinti. Con il passare del tempo, il bianco fu sempre più utilizzato nelle feste solenni come la Pasqua, accompagnato a partire dal IX secolo dall’oro e colori saturi e brillanti giustificati da un buon numero di trattati speculativi sul cromatismo liturgico che, "spesso anonimi e difficili da datare, se non da comprendere" non si sa se "abbiano avuto qualche impatto sulle pratiche del culto reali" ma i cui contenuti vengono ripresi dai grandi liturgisti del XII secolo .Verso il 1195,  il cardinale Lotario, futuro Innocenzo III, scrisse il De sacro sancti altaris mysterio, opera giovanile, nella quale l'autore descrive le usanze della diocesi romana (consuetudini diventate legge per l'intera cristianità nel XIII secolo), tra le quali figurano anche le descrizioni di abiti  e colori utilizzati durante la liturgia...tra questi, ancora non figura il giallo, il cui caso " lascia perplessi tutti i liturgisti e i teologi: da una parte, la Bibbia e i Padri non ne parlano e la sua simbologia è pressoché inesistente; dall’altra, è onnipresente l’oro, che ha funzione di colore nel completare la tavolozza liturgica basata su rosso, bianco, nero e verde. Sul piano scritturale come su quello materiale, il giallo non trova posto". 

Per avere una panoramica più chiara sulla progressiva diffusione del sistema dei colori liturgici fra l’epoca carolingia e il XIII secolo, l'archeologia e la liturgia hanno bisogno dell'araldica nella quale "per la prima volta al giallo viene attribuita una simbologia propria, indipendente dalla materialità e dal supporto"

Infatti, è con la comparsa degli stemmi nel XII secolo che a questo colore vien dato un posto di rilievo, passando da tre colori di base (bianco, rosso, nero) a sei (bianco, rosso, nero, verde, giallo, blu). "Sui campi di battaglia e nelle arene dei tornei, poi nella società nel suo insieme" scrive Pastoureau "gli stemmi si compongono di due elementi per affermare l’identità e segnalare la proprietà: figure e colori, collocati in uno scudo delimitato da un perimetro" obbediscono a poche ma stringenti regole di composizione in primis riguardanti i colori. 

Nell'araldica, il giallo  si intende "come colore astratto, e non più solamente tanti gialli che variano secondo il pigmento, il colorante, la luce e la tecnica". Insomma, non importano le sfumature ma l'idea del giallo e non la sua rappresentazione materiale. 

Il giallo negli stemmi è  oro, colore chiaro, forte e lucente come il sole, nobile e pieno di virtù. Simboleggiato dal leone e associato alla domenica, il giallo è capace di infondere conforto, tanto che i  medici "consigliano di mostrarlo ai malati più deboli e in fin di vita, affinché restituisca loro le forze"

A proposito di stemmi e di cavalieri, un topos narrativo che ricorre nei romanzi arturiani dei secoli XII e XIII (in versi e in prosa) è la comparsa  di un cavaliere sconosciuto munito di un’arme monocroma il cui colore ne suggerisce le intenzioni: un cavaliere nero è un personaggio buono e di primo piano che cela la sua identità, al contrario di uno rosso e demoniaco. Se il cavaliere bianco è il saggio e anziano amico o tutore del protagonista, il cavaliere verde è il giovane audace di recente investitura. Ma il cavaliere giallo? Si tratta di una figura ambivalente, ora generosa e prodiga d'aiuto, ora traditrice. Il colore indossato dal cavaliere diviene spia del significato che questo colore assunse nei trattati e nei manuali d'araldica risalenti al Tardo Medioevo. Ma non solo. Come nell'antichità erano bionde alcune divinità, nel Medioevo i capelli di questo colore sono simbolo di  nobiltà, onore, cortesia, bellezza e amore di chi li porta: Isotta era bionda al contrario della mora (perché adultera) Ginevra.  


Bacio di Giuda, particolare, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova, XIV sec



Il lato oscuro del giallo

A proposito del cavaliere giallo si parlava dell'ambivalenza di questo colore che da una parte rappresenta la nobiltà dell'oro, dall'altra  si rifà a più bassi concetti, legati ad esempio alla lordura e alla malattia in riferimento alla bile o all'urina. Inoltre "dalla fine del XIII secolo, la simbologia del giallo si degrada molto, evocando di volta in volta l’invidia, la gelosia, la menzogna, il disonore e il tradimento".  Il numero dei vizi associati al giallo crescono sempre di più alla fine del Medioevo. Il giallo diviene simbolo di invidia in quanto, nel corso del XIII secolo, con l’elenco dei sette peccati capitali, all'invidia viene attributo questo colore. Ragionando poi sull'instabilità chimica dei pigmenti gialli, gli vengono attribuiti  anche l'inganno e la menzogna e poi il tradimento. Ad esempio, nel Roman de Renart, l'omonima protagonista, una scaltra  volpe in fuga dalle guardie del re Noble (il leone), s’intrufola nel laboratorio di un tintore, cadendo nella vasca del giallo. Con uno stratagemma truffaldino, l'astuta protagonista riuscirà ad ingannare il tintore solo per farsi aiutare. Come si accennava, dal colore della falsità e della menzogna, il giallo è diventato anche colore dell’eresia e del tradimento, legame evidenziato anche "da una pratica spettacolare che, tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, consiste nel tinteggiare di giallo la casa di una persona in vista che si sia resa colpevole di alto tradimento, eresia o lesa maestà". Su questa falsariga ci spieghiamo perché a Costanza, nel 1415,  Jan Huscolpevole di essersi ribellato all’autorità dell’imperatore e alla supremazia della lingua tedesca,  fu portato al rogo vestito di giallo.


L'Ultima Cena, Salterio (Baviera?, ca. 1230-1240), 
Melk (Austria), Stiftsbibliothek, Cod. lat. 1903, fol. 11v.


Il giallo del tradimento

Anche i nemici di Cristo indossano abiti gialli alla stregua di colui che lo ha tradito: Giuda. Rosso di capelli  per sottolinearne l’indole falsa e perfida, è abbigliato di giallo per indicare l'appartenenza alla stirpe ebraica e il suo tradimento. Michel Pastoureau  precisa che "né i testi canonici del Nuovo Testamento né i vangeli apocrifi descrivono l’aspetto fisico di Giuda o il suo abbigliamento durante l’arresto di Gesù. Di conseguenza la sua immagine nell’arte paleocristiana e del primo Medioevo non si caratterizza per tratti o attributi specifici." 

La necessità di distinguere Giuda nasce dal bisogno di rappresentarlo in maniera precisa nella raffigurazione dell' Ultima Cena, differenziandolo per posizione, statura o atteggiamento. Il primo tratto distintivo di Giuda  nasce nei paesi del Reno e della Mosa in epoca ottoniana: i capelli rossi e poi anche la barba dal XII secolo. Dal Duecento invece, Giuda veste di giallo. "A volte" precisa Pastoureau " gli si aggiunge un tocco di verde per sottolineare la sua cupidigia, essendo il verde, nel Medioevo, il colore dell’avarizia (il che mette anche in risalto la borsa coi trenta denari). I due colori si associano quindi sotto forma di una veste a righe o bipartita, oppure di una veste gialla e di un mantello verde. Ma questo avviene raramente. Più spesso, l’apostolo traditore indossa una grande veste gialla monocroma, e in molte miniature, vetrate o tavole è l’unico a portare quel colore, contribuendo in tal modo a sminuirlo". 

La riflessione che deriva dall'utilizzo di questo colore genera domande interessanti come  la seguente:  il giallo  ha  cattiva reputazione  solo nel simbolico o anche nel reale? "Non è facile rispondere" rivela Pastoureau " ma sembrerebbe che sul finire del Medioevo e agli inizi dell’età moderna il giallo sia meno frequente nel vestiario di quanto non lo fosse in epoca feudale o a metà del XIV secolo"

Prendiamo la Prammatica del vestire fiorentina, opera del XIV secolo in cui si elenca il guardaroba delle nobildonne fiorentine. Questo inventario, fu stilato da molti  notai per consentire la concreta applicazione delle recenti leggi suntuarie che prevedevano sia la tassazione dei beni di lusso considerati investimenti improduttivi sia  la lotta alle nuove ed eccentriche mode, insistendo sulla necessità di abbigliarsi come status e rango comandavano. Insomma, dall’autunno del 1343 alla primavera del 1345 ogni fiorentina della buona società doveva denunciare il proprio corredo al notaio del quartiere. La Prammatica contiene 3257 notifiche "per recensire 6874 vesti e mantelli, 276 ornamenti per il capo, un gran numero di accessori di ogni genere, il tutto appartenente a oltre 2420 signore, alcune delle quali compaiono più volte" tra cui predomina il colore rosso, seguito dalla tonalità gialla.

Le dame fiorentine,  come quelle delle altre grandi città in Italia, Francia, Germania o Inghilterra, ancora amavano abbigliarsi con questo colore attorno agli anni quaranta del XIV secolo, alla vigilia della Peste nera. Questo trend durerà ancora per poco : nei secoli successivi, il giallo non sarà più un colore di moda, ricercato dalle donne eleganti, destinato  ad essere relegato  al vestiario femminile delle classi contadine, scomparendo progressivamente dall’abbigliamento cittadino e, dalla fine del XIX secolo, dall’abbigliamento in genere. 


Bibliografia, immagini  e citazioni:

M. Pastoureau, D. Simonnet, Il piccolo libro dei colori, Ponte alle Grazie, 2015
M. Pastoureau, Dizionario dei colori del nostro tempo, Ponte alle Grazie, 2015
M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Laterza, 2019
M. Pastoureau, Giallo, Ponte alle Grazie, 2023

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