La vita del soldato



Sono andata sul sito dell'esercito italiano per documentarmi sui requisiti d'ammissione e sulle prove alle quali si devono sottoporre i nostri soldati prima e dopo essersi arruolati. 
Si richiedono , in generale, forte e robusta costituzione e una ferrea volontà  psico-fisica per adattarsi non solo alla rigida gerarchia  ma anche per superare il training continuo, spesso svolto nelle  condizioni più impervie. Sin dall'antichità ai combattenti sono quindi richiesti sacrificio e obbedienza alle ragioni di stato. Esempio universale è l'Ettore omerico : il saluto alla moglie Andromaca e al figlioletto in fasce non è un semplice quadretto familiare ma l'esempio sovrano di chi corre senza indugio ad obbedire alla patria.


Miniatura tratta dal Codex Manesse,  43v


Soldati: gente pragmatica e sobria. Prendete ad esempio Belisario. Dopo un intero giorno di combattimenti contro i rapaci Goti su Roma, il condottiero ,capo dell'esercito bizantino, aveva tralasciato il cibo per occuparsi di questioni istituzionali più urgenti . Procopio racconta che solo " a tarda notte , la moglie e gli intimi che gli stavano intorno lo forzarono a stento a mangiare un pezzo di pane ". Secoli dopo, lo Stupor Mundi non fu da meno. Secondo quanto narrato da Rolandino da Padova, la ferrea volontà di conquista di Federico II ne assoggettò la fame nel 1236 : il tempo di addentare un pezzo di pane senza neanche smontare da cavallo per poi condurre le sue schiere verso Vicenza.  Diciamolo: non si diventava cavalieri da un giorno all'altro. Si richiedeva  pratica ed addestramento costante. Sin da bambini, i futuri guerrieri venivano temprati ai disagi della guerra. Presso i Franchi, ad esempio,  era uso comune addestrare i ragazzi dall'adolescenza, rendendoli capaci di  "sopportare le durezze e le avversità, soffrire la fame, il freddo e il calore del sole" ( Rabano Mauro, metà IX sec.)





Essere un buon soldato: resistere alle difficoltà

Rambaldo, eroe di fantasia del "Cavaliere inesistente" di Italo Calvino, si accorge dell'inizio del combattimento dalla cappa di polvere alzatasi all'attacco di entrambi gli schieramenti. "Il segno che era cominciata la battaglia fu la tosse", scrive l'autore. In effetti, il nostro cavaliere si trovò in un inferno di polvere , sole e vento provocato non solo dal "polverone giallo" dei saraceni in attacco, ma anche da quello che "venne su da terra" in seguito alla carica dei carolingi con cui combatteva. Rimane ignota la fonte storica che ha ispirato questo passo ma una cosa è certa : anche Vegezio nell' Epitoma rei militaris cita frequentemente la polvere sui campi di battaglia .


Manoscritto Bodley 352, folio 6v, Bodleian Library, Germania, 1100 -1150.


Sì, l'estate era tragica. Esempio importante è quello riportatoci da Giovanni VillaniCascina, 1364. Il conflitto tra Firenze e Pisa esplose in quell'assolato luglio e Giovanni Acuto, condottiero britannico al soldo dei pisani,  "aspettò la volta del sole perché li raggi fedissono nel volto delli nimici e a' suoi nelle spalle". Inoltre , prima dello scontro vero e proprio, per ingannare Galeotto Malatesta, il comandante fece in modo di far levare "meno polverio" facendo avanzare  i suoi a piedi (per quattro miglia!) anziché a cavallo. Ricordiamo questa battaglia anche per un altro motivo: la perdita del famoso "cartone" michelangiolesco  raffigurante Cascina non come  un accampamento ma come un campo estivo in cui i fiorentini, colti dalla calura e dalla voglia di freschezza, disarmatisi,  si gettarono nell'Arno nel mentre il Malatesta, ormai sessantenne, "se n'era ito nel letto a riposare". Ovviamente, con queste premesse, alla fine vinsero i pisani. 
Non è raro trovare una cappa di polvere nel cielo di tutte le battaglie tra XII e XIII secolo: il 70% delle operazioni militari era infatti concentrato fra maggio e agosto. Spesso , la polvere era così fitta da ostruire la vista ( Nicosia, 23 giugno 1229).  La polvere, si univa al problema acqua: Antonio Campano racconta dello scaltro Braccio da Montone il quale, alle porte di Perugia nel 1416, riuscì ad assicurare ai suoi degno approvvigionamento idrico in barba ai nemici, fustigati da sole, polvere negli occhi e stanchezza.  La stanchezza fisica era un altro gravoso  problema in combattimento. L'Anonimo Cumano scrive a proposito della battaglia di Rebbio : "Il sudor cola, scorre  a rivi per le matide membra. Sangue stillano ovunque i polverosi campi. ". I combattenti, stanchi, sedevano per terra , cercando il ristoro dell'acqua.  Per questo motivo, Vegezio prima e Egidio Romano (De regime)  poi, suggerivano di abituare sin da fanciulli i futuri soldati alla fatica. Il concetto viene ripreso anche negli Insegnamenti di Teodoro di Monferrato . Sole, polvere, mancanza d'acqua, stanchezza e... armature. Nel corso del tempo divennero più complesse e pesanti. Forse sin dall'età carolingia si iniziò ad insistere sul senso di invulnerabilità dei guerrieri attraverso di esse. Nel Medioevo , in generale, le armature si aggiravano intorno ai 25 kg. Nel corso del XIII secolo , si introdussero elementi in lamiera , più difficili da perforare dalle balestre ma scomodissime perché non traspiranti. Inoltre , armature così composte , potevano provocare dolori alla schiena e alle articolazioni.








Guerra e cibo



Guerrieri a riposo, Morgan, M.106, Salterio, f031v, 1255-1265, Belgio


Che i soldati , spesso e volentieri, derubassero per mangiare, è storicamente accertato.
Ma, attenzione all'organizzazione! Vi era un vettovagliamento a monte: si partiva sempre con delle scorte esplicitamente richieste al momento dell'arruolamento. Ad esempio, Carlo Magno esigeva dai suoi soldati in adunata viveri per tre mesi. Inoltre ogni mobilitazione era accompagnata da derrate alimentari tra cui farina e vino. Tra XII e XIII secolo non sono rare le notizie di carri pieni di "cibi e armi" al seguito degli eserciti. Spesso, durante la discesa di una schiera armata, si prendevano accordi con le città alleate per il vettovagliamento. Ma non sempre andava tutto bene. Federico II, diretto nel 1154 dalla piana di Roncaglia verso occidente, avrebbe dovuto ricevere rifornimenti dai milanesi a Landriano ma, non avendo ottenuto sostentamento sufficiente per uomini e cavalli, rimandò indietro nudi i negozianti che gli avevano portato le vettovaglie.


Miniatura tratta dalla Bibbia Maciejowski, XIII secolo


Ma cosa mangiavano i soldati?
Nell'Europa altomedievale, carne e pane erano i cibi primari. In verità, studiando le provviste dei crociati lombardi e tedeschi in Terrasanta troviamo anche frumento, vino e altri beni come carne, orzo (per i cavalli) , olio, formaggi, frutti, polli, uova e noci. "Colui che ha viveri combatte con più sicurezza di chi non ne ha", diceva a ragione  Enrico Dandolo, doge di Venezia. Egidio Romano, a proposito della conduzione di un assedio, raccomandava di fornirsi di frumento, avena , orzo, miglio ( si conserva meglio e più a lungo), sale, carni salate ( ricavate dalle bestie non indispensabili), acqua fruibile da pozzi, cisterne, aceto e vino. Quando i viveri scarseggiano era naturale cadere nell'incertezza e...il pretesto per derubare villaggi si faceva più insistente. Le razzie dei soldati, provocavano delle "carestie artificiali" di cui erano causa e vittime. Se il cibo scarseggiava , spesso si doveva ripiegare su quanto era rimasto in deposito, come le fave novelle di cui si cibarono i crociati sulla strada di Gerusalemme nel 1099 , oppure piante spinose alla stregua dei soldati in Asia minore nel 1097. Sempre nel 1099 , si raggiunse il colmo: a Marra, dopo aver sezionato e tagliato i cadaveri dei Turchi, taluni soldati commisero cannibalismo. 


L'accampamento, dettaglio del ciclo affrescato del castello di Teruel



Ma com'era organizzata la questione del cibo? Ai militari toccavano delle razioni? E' possibile farsene una idea studiando gli ultimi due secoli del Medioevo.  Le fonti parlano di pane (o biscotto) , carne (ovina, bovina o suina) , pappe di piselli e fave, condimenti a base di lardo e burro. In caso di astinenza imposta d'ufficio, alla carne subentravano  pesce affumicato o salato, uova e  formaggi. Si utilizzavano sale, aceto, aglio e cipolla. Le spezie erano riservate alla cura dei malati. Il vino, bevuto dai capi e dai cavalieri. spettava alle truppe solo nei giorni festivi e di combattimento. In Francia, era sostituito dalla birra o dal sidro. La vita del guerriero era sempre sul filo del rasoio: bisognava star attenti anche ad organizzare i pasti. Spesso e volentieri, infatti, il nemico sopraggiungeva nei momenti di stasi, come appunto quello del desco. 



Sangue e ferite: il corpo del guerriero tra la vita e la morte


Lanciatore di pietre, MS M. 638, Morgan Crusader Bible, St. Louis Bible Date , Parigi
Francia, ca. 1244-1254, folio  28v



Ferire e ferirsi. Le fonti scritte dei secoli XII e XIII consentono di delineare una traumatologia dei danni causati da lance, frecce, spade o...pietre! Una lancia poteva trapassare il torso di un nemico, lesionandogli tranquillamente braccia e spalle. Ferite alla testa erano , in maggior parte, conseguenza dei fendenti : nonostante elmi e scudi, con le spade si riusciva a colpire i volti e, se vibrati dall'alto verso il basso,  spalle,  anche e il braccio destro. Vi erano colpi apparentemente mortali ( come le parecchie ferite ritenute pericolose di Filippo da Novara a Cipro nel 1229) e  quelle ritenute erroneamente  superficiali o non gravi (come il colpo di lancia al fianco di Piero de Rossi a Monselice nel 1337). Oltre le pietre, attestate in Spagna (battaglia di  Rio Salado, 1355) c'erano le frecce. Sin dalle rimembranze greco - gotiche di Procopio, è chiara la pericolosità delle armi da getto specie se ben scagliate. Molti guerrieri bizantini morirono per una freccia, forse perché mal equipaggiati e non ben curati all'insorgere di varie complicazioni. Certo, non tutti i colpi erano letali: molto dipendeva dalle protezioni indossate, dalla distanza e dalla posizione dalla quale il dardo era stato scoccato.



Ferite di guerra, miniatura dal Willehalm, inizio XIII secolo.


Nella trattatistica del XII e XIII secolo  i chirurghi si impegnarono per studiare metodi consoni per l'estrazione delle frecce. Dalla pratica chirurgiae di Ruggero de Frugardo ( XII secolo) ai dettami di Rolando da Parma, Teodorico di Lucca e Guglielmo da Saliceto ( seconda metà XIII secolo) nella cura delle ferite da freccia viene raccomandata cautela. Mortali sono le ferite che colpiscono la gola o l'occhio (come quella di Aroldo d'Inghilterra nell' Arazzo di Bayeux). I vari medici e chirurghi , presenza costante e accertata tra gli eserciti,  dopo aver studiato attentamente l'anatomia del danno, consigliavano l'estrazione del dardo tramite preghiere e pinze, elencando in maniera più o meno clinica i vari casi che gli venivano sottoposti. Per le altre ferite , da taglio o da lancia, i rimedi più comuni erano vino e una sana dose di ago e filo per ricucire.  In special modo  Teodorico da Lucca, assegnava al vino un ruolo  considerevole nella cura dei feriti. Consigliava di immergere la ferita nel vino caldo e , una volta detersa, fasciarla in bende a loro volta inumidite nella medesima bevanda.  A base di vino vi erano, infusi e decotti, unguenti, spugnature, sciacqui, gargarismi e suffumigi, creme o applicazioni medicinali. Per i disarcionamenti in battaglia , ossa rotte, lussate o fratturate venivano curate normalmente a meno che il danno non fosse critico alla colonna vertebrale. Se sopraggiungeva la morte in campo, solitamente amici e commilitoni si affrettavano a portar via il cadavere del malcapitato. Questo, tuttavia non era sempre possibile: molto spesso rimanevano morti in terra di nessuno (sottoposti alle cure dei monaci o allo sdegno del nemico),  altre volte seppelliti in fosse comuni ( se non reclamati o riconosciuti). Solo ai caduti di alto rango si riservavano tutti gli onori. Costoro avevano diritto alla sepoltura in luoghi sacri oppure alla traslazione delle spoglie in patria o in qualsiasi altro luogo ritenuto degno. 



Bibliografia:

A. Albuzzi, Medicina , cibus et potus. Il vino tra teoria e prassi medica nell’Occidente medievale in "La civiltà del vino. Fonti, temi e produzioni vitivinicole dal medioevo al Novecento. "Atti del Convegno (Monticelli Brusati - Antica Fratta, 5-6 ottobre 2001), a cura di Gabriele Archetti , con la collaborazione di Angelo Baronio, Roberto Bellini, Pierluigi Villa, Brescia, Centro culturale artistico di Franciacorta e del Sebino, 2003 (Atti delle Biennali di Franciacorta, 7), pp. 675-712.

A. Giallongo, Il bambino medievale. Storie di Infanzie, Cap. V, Dedalo, 2019  

A. Settia, Battaglie medievali, il Mulino, 2020 

  A. Settia, Rapine, battaglie, assedi. La guerra nel medioevo, Laterza, 2009 



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